Per i collaboratori di giustizia Franco Muto è uno dei dieci boss più potenti della ‘ndrangheta, l’unico a sedere sia al tavolo con la ‘ndrangheta reggina sia a quello della camorra napoletana. È il re del pesce perché per circa 150 km di costa tirrenica è lui che controlla il mercato. Buon risultato per uno che ha iniziato come imbianchino, poi fruttivendolo, calzolaio e infine la svolta nel mercato ittico.

 

A tracciare il profilo di Franco Muto, è una video inchiesta realizzata dal giornalista Antonio Crispino e pubblicata sul Corriere.it
Si insedia a Cetraro dove costruisce la sua prima pescheria, la San Francesco. Trecentocinquanta metri quadri su demanio marittimo. Senza che il comune dica nulla. Allaccia rapporti con i Pino-Sena, cosca dominante a Cosenza e riceve la benedizione di Giuseppe Piromalli da Gioia Tauro.

 

Nei primi anni ’90 da un sondaggio della Polizia risultò che quasi l’80% delle attività si riforniva esclusivamente dai Muto evidenziando che non c’era contrattazione e anche dal carcere Franco riesce a comunicare con i suoi e a dare disposizioni.
Il monopolio di Muto sul territorio è totale.

 

Con l’usura finanzia le attività edilizie lungo tutta la costa con tassi di interesse che arrivano a toccare il 15% mensile.
Importando droga da Colombia, Venezuela e Olanda, la sua organizzazione è riuscita a mettere in piedi un sistema di import/export di primo piano.

 

Sotto il controllo di Muto non ci sono solo imprenditori e attività economiche ma anche istituzioni. Ne è il simbolo l’ospedale di Cetraro che per anni è stato utilizzato come “ luogo sicuro” per svolgere le riunioni del clan. Parla il direttore del nosocomio, Vincenzo Cesareo, marito dell’ex vice prefetto di Cosenza e un passato in politica come capolista della Lega Nord alla Camera dei Deputati (nel 2006) e come coordinatore e consigliere regionale di Forza Italia. Che però riduce tutta la vicenda a «...un paio di piccoli spacciatori che qui avevano creato la loro alcova. In particolare uno di loro, cacciato di casa dalla moglie, si era stabilito qui in pianta stabile mentre in uno dei locali dell’ospedale spacciava droga». Il resto lo archivia come «tutte sciocchezze».

 

E poi gli omicidi...per quello di Giannino Losardo, segretario della Procura di Paola, non si conoscerà mai il nome del mandante. In altri casi, invece, non si ritroverà nemmeno il corpo della vittima. Così fu per Franco De Nino, il ragioniere dei Muto scomparso e mai più ritrovato. Scompare anche un testimone chiave nel processo per l’omicidio Losardo, Luigi Storino, affiliato al clan che aveva deciso di collaborare con la giustizia. Mentre il testimone oculare dell’omicidio di Pompeo Brusco dirà agli investigatori: «Vi rivelo l’autore dell’assassino solo all’aeroporto, prima di imbarcarmi per il Canada». E poi ci sono i legami con la massoneria, un vero e proprio collante tra politici, mafia e forze dell’ordine..