Contatti con la ’ndrangheta e clima di terrore nella zona dell'Alberone. Sigilli a cinque appartamenti, uno dei quali a Siderno, contanti e una polizza assicurativa. Tassi usurari tra il 60 e il 240% all'anno
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Il “tesoretto” dei fratelli Piromalli, accumulato tra Roma e la Calabria, torna allo Stato. Un milione di euro, fra case, contanti e polizze assicurative che sarebbero stati accumulati - secondo l’accusa - attraverso attività di usura ed estorsione. Nel mirino del provvedimento sono finiti Giuseppe, Francesco e Carmine - i primi due nati in Calabria il terzo a Roma - nella zona di San Giovanni e Appio Latino, all'Alberone. Dall’area di influenza del gruppo nasce anche il nome dell’operazione in cui i tre erano stati arrestati – “Alberone”, appunto –, coordinata dalla Procura di Roma e condotta dalla Squadra mobile. Una storiaccia di usura ed estorsioni con tanto di spedizioni punitive contro le vittime in caso di mancati pagamenti.
I traffici dei Piromalli all’Alberone
I tre fratelli Piromalli – rispettivamente di 58, 56 e 47 anni – erano in contatto con ambienti malavitosi e hanno tutti precedenti per attività criminali legate al traffico di stupefacenti. Le indagini di “Alberone” hanno portato al sequestro di beni e contanti per un valore complessivo di circa un milione di euro. Oggi arriva lo step della confisca di sei unità immobiliari, di cui cinque ubicate a Roma e una a Siderno (provincia di Reggio Calabria); 99.770 euro in contanti; una polizza assicurativa del valore di 80mila euro e disponibilità finanziarie pari a 35.000 euro.
Le indagini sono nate da una denuncia raccolta nel 2018, esordio dell’inchiesta che ha portato all’individuazione del gruppo facente capo alla famiglia Piromalli. Non soltanto i tre fratelli, ma anche due complici di 55 e 51 anni il cui core business era la concessione in prestito somme di denaro a tassi illegali, ricorrendo anche alle estorsioni pur di rientrare in possesso degli interessi imposti.
Tassi usurari tra il 60 e il 240% all’anno
La zona dell'Alberone nel quartiere San Giovanni era il regno dei Piromalli, che avevano creato – secondo gli investigatori – un clima di terrore e uno stato di «soggezione nei loro confronti, humus necessario ad agevolare e far progredire tutte le loro attività illecite».
Era il fratello maggiore, Giuseppe, a tenere i contatti con la Calabria. Su due diverse direttrici: la prima finalizzata a restare in contatto con la malavita locale, la seconda tesa all’individuazione di persone in condizioni economiche precarie e bisognose di denaro. Sulla base di queste informazioni si sarebbero poi mossi i due fratelli, uno impegnato nel recupero delle somme, l’altro nel loro reinvestimento. Una filiera stroncata dall’intervento della Procura di Roma. Le vittime dell’usura, piccoli imprenditori della zona, erano obbligate a restituire il denaro con interessi oscillanti tra il 60% e il 240% all’anno. In caso di ritardi scattavano minacce e violente estorsioni delegate al braccio armato della famiglia.
Con il decreto di confisca, per i tre fratelli è stata anche disposta l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale per la durata di due anni.