Il viaggio degli inquirenti alla scoperta della casa degli orrori ha una data precisa, il 2 febbraio dello scorso anno. Quel giorno la moglie di un ex degente della Casa del sole di Reggio Calabria si presentava dai carabinieri per sporgere denuncia nei confronti delle proprietarie della struttura dopo la morte dell’uomo, avvenuta qualche giorno prima all’ospedale dello stretto. In quel verbale, la signora spiegava il perché era stata costretta a ricoverare il marito, affetto da una grave malattia neurodegenerativa, in quella struttura nel quartiere San Brunello e del progressivo e inesorabile deterioramento del suo stato di salute finito con il decesso al Riuniti alcuni mesi dopo. Da quel momento, il caso si allarga e la morte dell’anziano diventa solo il punto di partenza di una brutta storia che porterà all’incriminazione di 5 persone accusate, tra l’altro, di maltrattamenti, abbandono ed epidemia colposa.

Gli indagati

Nell’inchiesta dei carabinieri di Reggio Calabria e dai Nas del reparto di Napoli, chiusa ieri mattina, sono finiti Giovanna Scarfò, Cecilia Pristipino, Margerita Battaglia, Emanuele Maria Candido, Florentia Lencautan. Tutti gli indagati, sono finiti ai domiciliari, mentre la struttura nella quale era ubicata la casa di cura abusiva è stata sequestrata come disposto dal gip reggino.

La denuncia 

«Facendo accesso alla struttura Casa del sole unitamente alla mia amica E. C., - dichiara la donna nel verbale di querela - notavamo immediatamente lo stato dei luoghi i quali si presentavano carenti a livello strutturale con assenza di condizionatori d’aria, impianti termici, assenza di servizi igienici attrezzati… Notavo lo sporco pregresso e il cattivo odore di urina nelle camere. Il giorno del mio accesso notavo che il personale non era idoneo, vi era una donna, penso straniera, che non parlava neanche l’italiano. Dato che all’accesso sbagliavo piano, potevo notare la presenza di circa 10 pazienti che si presentavano tutti poco responsivi come sedati. Premetto anche che al mio accesso nessuno mi controllava né annotava le mie generalità o che indossassi i Dpi (non vi era nessun presidio Covid-19 gel, cartellonistica), il personale non indossava mascherine».

L'ispezione

Da quella denuncia sono partiti i carabinieri confermando quando raccontato dalla donna e andando anche oltre. Dall’inchiesta emergerebbe, infatti, uno spaccato terribile, fatto di pazienti malnutriti, tenuti in condizioni igienico-sanitarie molto precarie, sedati con psicofarmaci e somministrati senza prescrizioni mediche, in ambienti non idonei a gestire dei malati e, infine, senza alcuna autorizzazione per espletare un servizio così delicato.

«L’attività investigativa – si legge nell’ordinanza firmata dal gip di Reggio Calabria – espletata dai militari del Nas, ha consentito…di acclarare le condotte delittuose poste in essere all’interno della struttura indicata, facendo emergere, a riscontro di quando denunciato, una situazione di grave incuria e di abbandono perpetrata nei confronti di tutti gli ospiti della struttura, con gravi ricadute sulla salute degli stessi per come tra l’altro fotografato dall’ispezione della p.g. avvenuta in data 17 febbraio 2021, in esecuzione dell’ordinanza sindacale di chiusura dell’attività in ragione dell’assenza dei permessi necessari, che ha permesso di disvelare l’esistenza di un vero e proprio focolaio epidemiologico di Covid-19, originato e alimentato dal mancato rispetto di basilari regole di prevenzione, quali l’uso di dispositivi di prevenzione individuale prescritti dalla disciplina emergenziale».

Scabbia e Covid

L’attività dei carabinieri, coordinati dalla procura di Reggio, però non è limitata all’accesso alla struttura, ma tutti gli indagati sono stati intercettati durante la fase di indagine. Dalle captazioni, secondo quando si legge nell’ordinanza, sarebbe emersa «la scellerata gestione della struttura, ad opera di Giovanna Scarfò e Cecilia Pristipino, coadiuvate dai dipendenti, che in assenza dei requisiti necessari (in quanto le stesse hanno avviato 4 case famiglia, celando la conduzione di fatto di una comunità alloggio, assoggettata ad autorizzazione e pertanto, a preventivo sopralluogo, senza rispetto dei requisiti minimi strutturali, tecnologici e organizzativi previsti dalla normativa di settore), hanno avviato un’attività imprenditoriale volta al ricovero dei pazienti non  autosufficienti…, ponendo in essere nei loro confronti sistematiche condotte di maltrattamenti e lasciandoli privi della necessaria cura e assistenza, cagionando un generale decadimento fisico e psichico, culminato, come nel caso di D., nel decesso del paziente dimostrando scarsa attenzione all’igiene e alla cura degli ospiti».

Una scarsa igiene che avrebbe provocato, secondo quanto accertato dagli inquirenti all’insorgere «di scabbia in alcuni anziani». Il personale, inoltre, non avrebbe avuto «alcuna competenza professionale e in assenza di previa comunicazione medica» avrebbe somministrato «medicinali di varia natura agli ospiti».

Nel corso del controllo, inoltre, gli investigatori avrebbero accertato l’assenza di «impianto di riscaldamento, in quanto munita esclusivamente di piccole stufe…che gli ospiti del primo e del secondo piano sono stati trovati infreddoliti e che non operava personale in possesso di adeguato titolo e/o qualificazione».