Nei suoi grandi occhi neri c’è ancora impressa tutta la violenza subita. Quella fisica e quella psicologica. Daouda Saw è un ragazzo 26enne, adesso ospite di una cooperativa che gestisce un centro di accoglienza alla periferia sud di Reggio Calabria, che un anno e mezzo fa ha lasciato il Senegal per arrivare in Italia. Nei giorni scorsi c’eravamo occupati di lui in merito alla grande gara di solidarietà partita su Facebook relativa all’acquisto di una carrozzina. L’idea è stata lanciata da Antonio Cugliandro, allenatore della Reggio Basket in carrozzina, composta da atleti affetti da diverse disabilità motorie. Dal novembre scorso Daouda fa parte della squadra ma occorre che abbia una sedia a rotella. Lo abbiamo incontrato e dietro al suo sorriso, non è difficile scovare l’amarezza per la sua condizione. La sua vita, infatti, non doveva andare così. Quello che doveva essere “un viaggio della speranza”  si è tramutato in una tragedia, una tragedia così devastante da cui ancora non è uscito fuori. Partito insieme ad un amico dal Senegal, dove ha lasciato madre e quattro fratelli, è stato rapinato ben quattro volte attraversando il Mali e il Burkina Faso. Una volta giunto in Libia è rimbalzato da uno scafista all’altro. La notte prima di imbarcarsi, però, hanno tentato di ucciderlo. Miracolosamente è riuscito a salvarsi ma ha perso la gamba sinistra.

L’orrore libico

«In Libia abbiamo sofferto tanto perché ci hanno picchiato, picchiano sempre gli africani neri. Lo scafista che avevamo trovato- ci racconta Daouda- ha rubato tutti i soldi di 200 persone, poi ho trovato un altro scafista.  La notte prima della partenza siamo stati trasferiti in un campo. Sono venuti dei terroristi arabi con i fucili, ci hanno minacciato. Uno voleva spararmi; gli ho preso il fucile per difendermi. Lui ha gridato e un altro terrorista mi ha sparato. Ho alzato la gamba per parare il colpo e mi ha colpito sopra il ginocchio». Qui inizia la sua odissea. Un’odissea fatta di dolore. Daouda non è mai riuscito ad andare in un ospedale, i neri infatti, non possono andare in ospedale. È stata questo il motivo che lo ha condannato alla sua disabilità. «Lo avevo capito che la mia gamba si stava mettendo male, non la sentivo più». Un amico libico, «sì perché in Libia qualche persone gentile c’è», decide di portarlo in ospedale «ma durante il tragitto abbiamo trovato tanti, tanti poliziotti e il mio amico mi ha detto: “se ora andiamo in ospedale ti porteranno direttamente in carcere” e quindi non ho potuto curarmi. Una persona con la pelle nera in Libia non può andare in ospedale». Queste però, non sono le uniche violenze che Daouda ha visto e subito in Libia. «Durante tutto il mio viaggio ho visto tantissime donne subire varie violenze ed essere violentate. A volte arrivavano due, tre uomini, le prendevano, le rapivano, le menavano e le stupravano. Era situazione di ogni giorno».

Il viaggio in mare nascosto nel fondo di una barca

Il giovane 26enne ha lasciato il Senegal nell’agosto del 2016. Tra la partenza e l’arrivo in Italia sono passati quasi sei mesi. Daouda arriverà a Reggio Calabria il 2 febbraio del 2017 con la gamba in cancrena. I medici degli ospedali “Riuniti” non hanno potuto fare altro che amputargliela. «Io non ho viaggiato su un gommone ma avevo trovato una barca. Quando ho fatto la traversata - ci racconta- mi hanno dovuto aiutare perché la gamba non la reggevo più, non la sentivo e non la potevo controllare. A causa delle mie condizioni mi hanno posizionato vicino al motore, dove c’era un buco. In modo che le cento persone presenti non mi salissero di sopra. Siamo andati via, continua Daouda nel suo racconto, alle tre di mattina dalla Libia, al confine con le acque italiane una nave italiana ci ha salvati. Erano più o meno le nove del mattino. Hanno prima fatto scendere tutte le persone dalla barca e poi io sono stato salvato per ultimo. Il medico ha curato tutti i feriti ma quando mi ha visitato, mi ha detto che lui, vista la mia gravità non poteva fare niente. Una volta arrivato a Reggio Calabria – conclude - in ospedale me l’hanno amputata e questo per me, come è facile immaginare, è stato un giorno orribile».

Il sogno svanito e le violenze psicologiche subite a Reggio Calabria

Daouda, dal febbraio 2017, fino ad oggi, ha subito diversi ricoveri ospedalieri- anche dopo l’amputazione- a causa delle diverse infezioni all’arto. In tutto questo periodo si è dovuto scontrare con due grandi realtà: la disabilità e il non poter sostenere più la sua famiglia, che ancora oggi si trova in Africa. Prima di arrivare al centro di accoglienza, dove oggi trascorre le proprie giornate, ha soggiornato in altre strutture tra cui una ubicata sempre a Reggio Calabria.  «Qui c’era una signora molto cattiva; una persona così cattiva in Italia io non l’avevo mai vista, ci racconta. Ci maltrattava verbalmente e alcune volte ci picchiava. Non mangiavo in questa struttura o perché non ci dava da magiare o perché era meglio per me che io non mangiassi là. Mangiavo grazie a mio zio che comprava anche per me».

L’assenza di felicità e la speranza del basket

Per il giovane senegalese sono pochi i momenti di felicità. «Io adesso non riesco a immaginare cosa può offrirmi il futuro. Non riesco proprio ad immaginare nulla, sono pochi i momenti di felicità per me e quelli che vivo con spensieratezza riguardano il basket, con la mia squadra, e quelli con la mia dottoressa Antonia. Ecco sono solo questi. Poi chissà, ci dice sorridendo, magari diventerò un campione di basket in carrozzina». Ed ecco perché è molto importante per lui avere una sedia a rotelle tutta sua. Al momento non può neanche usare la protesi a causa della ferita alla gamba che stenta a rimarginarsi. La gara di solidarietà è ancora in corsa e chiunque volesse donare basta prendere informazioni alla pagina Facebook “Una carrozzina da basket per Daouda”, una pagina che potrebbe riscrivere la sua nuova storia.

 

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