VIDEO | Il magistrato della Dda reggina si è confrontato durante il primo appuntamento di Dialoghi con la magistratura con il conduttore di Report Sigfrido Ranucci su uno dei temi più caldi della riforma della giustizia
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La separazione delle carriere non è un argomento che riguarda solo giudici, magistrati e settore giustizia. Le ricadute sulla cittadinanza sono inevitabili. Ed è proprio per questo, perché dietro ogni processo ci sono persone non solo sentenze, vite non solo condanne o assoluzioni, che è necessario dialogare e non arroccarsi in posizioni predefinite prima di consolidare riforme che avrebbero ricadute rilevanti. Con questo obiettivo l’associazione nazionale magistrati ha avviato ieri un ciclo di incontri per confrontarsi con la cittadinanza, oltre che con gli addetti ai lavori su quella riforma della giustizia che tanto sta facendo discutere, in particolare sugli approcci.
«Dietro c’è molto altro». Lo ha detto chiaramente Giuseppe Lombardo, procuratore facente funzioni della Dda di Reggio Calabria, durante l’incontro "Dialoghi con la magistratura". Quella della separazione delle carriere nasconde interessi e questa riforma, cosi come concepita, rischia di ledere libertà costituzionalmente riconosciute.
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«Mi spaventa moltissimo un aspetto di cui si parla pochissimo, e l'ho detto anche nelle interlocuzioni avute con gli avvocati in occasione del loro congresso straordinario, ed è un aspetto che noi riusciamo a percepire, noi magistrati di professione, nel momento in cui osserviamo noi stessi, guardandoci dall'esterno, cosa che non è assolutamente facile ma che in questi giorni, per me, è una costante. Perché la nostra vita è fatta di una serie di accadimenti, e questi accadimenti, anche quando riguardano il nostro profilo professionale, ci portano a osservarci dall'esterno e a chiederci: “Ma io sono quello che in questi anni ho immaginato di essere?”. Ecco, questo tipo di esercizio — e vi invito a farlo — a guardarsi come ci guarda la gente. Il problema in Italia — rendiamocene conto tutti insieme — è che qualsiasi problema si affronti, anche su piani distanti da noi, è tendenzialmente generato da una magistratura che non funziona. Ora, questo toglie credibilità al dibattito e genera un problema molto serio che va sottolineato: noi viviamo costantemente di fronte a una instabilità normativa pericolosa.
Non è un problema di risentirmi collega del giudice e viceversa. È un problema di utilizzare tutti insieme la stessa sensibilità nel momento in cui entriamo in contatto, purtroppo, con situazioni molto spesso spiacevoli. Quella sensibilità è mentale».
Per Lombardo l'obiettivo vero a cui tende la riforma della giustizia non è quello di separare formalmente il pubblico ministero dai giudici. «Non è questo il mio modo di vedere per creare semplicemente due Consigli Superiori della Magistratura, uno per l'inquirente e l'altro per i giudicanti. Non è semplicemente legato al fatto che le garanzie attuali di non sottoporre il pubblico ministero al controllo dell’esecutivo possano essere temperate da interventi normativi particolarmente complessi da attuare. Il problema non è questo. Il problema è togliere al pubblico ministero — e, soprattutto, al confronto che l'indagato e l'imputato hanno con il pubblico ministero — la immediata rappresentazione di aver davanti il primo baluardo della giurisdizione. E questo, a mio modo di vedere, è pericolosissimo. È pericolosissimo, soprattutto, nel momento in cui mi risulta evidente che, con questo tipo di obiettivo, non può esistere un sistema in cui il pubblico ministero non faccia parte della giurisdizione senza comportare, in tempi più o meno variabili, il fatto che il pubblico ministero venga snaturato, arrivando a renderlo, come qualcuno ha detto anche in epoca recente, un “super-poliziotto”. E quindi perde sostanzialmente le sue caratteristiche di base».
E lo ha detto con chiarezza Lombardo che «Dietro i riferimenti costanti e l’utilizzo spesso di formule che hanno importanti ricadute, c’è molto altro. C’è molto altro, perché andando a verificare con attenzione i progetti di riforma, tanto di iniziativa parlamentare quanto governativa, noto un obiettivo ulteriore rispetto a quello che oggi leggiamo in quei progetti di legge e quindi posso immaginare».
E che a essere messe a rischio sono libertà costituzionali lo ha confermato il conduttore di Report Sigfrido Ranucci ospite di Anm in “Dialoghi con la magistratura”. «Io vedo molto più pericoloso il sottotesto, il sottopensiero, che forse un magistrato, un PM, può essere di parte o può agire con una finalità. Ma se partiamo dal concetto di indipendenza, della fiducia nella magistratura, questo vale anche per i giudici, vale anche per chi ha la carriera separata. Io devo necessariamente avere fiducia nella giustizia, perché un paese che cammina senza fiducia è come una macchina che cammina senza certificato di garanzia. Non ha una giustizia che funziona, non ha una stampa libera, e quindi questo è un requisito che dovremmo difendere tutti.
Certo, quello che è successo nell'ambito della magistratura negli ultimi anni ci ha fatto riflettere. Ma questo succede anche nell'ambito giornalistico. Io credo che, se non c'è fiducia nel giornalismo, è anche colpa di tanti colleghi che hanno scambiato il concetto di pluralismo con indipendenza. Noi oggi abbiamo la presunzione di vivere in un continente, l'Europa, che pensa di essere la culla della civiltà, ma ha dimenticato che negli ultimi anni sono stati uccisi cinque giornalisti.
A me sembra che questo contesto di pressioni politiche sia molto simile a quello che sta subendo la magistratura. Che cos'è questo, se non il tentativo di non far parlare e non rendere consapevoli le persone? Guardate, c'è una proposta di legge che giace da anni in un cassetto, quella sulle querele temerarie. Basterebbe approvare una norma per cui, se chiedi un risarcimento danni, devi mettere a disposizione della giustizia un terzo di ciò che chiedi. Se poi si rivela che la denuncia era temeraria, quei soldi rimangono nelle casse della giustizia, il che aggiusterebbe anche un po’ il sistema». L'incontro è stato trasmesso in diretta sulla nostra testata LaC News24 e sui social del gruppo.
Gli altri appuntamenti
Sabato 30 novembre alle 17 il cortile della Libreria Ubik vedrà alternarsi le voci della giornalista e scrittrice Donatella Stasio e di Roberto Lucisano, già presidente della Corte di Assise d’appello di Reggio Calabria, moderati dal giudice Antonio Salvati. Tema dell’incontro “Separazione dei poteri: autogoverno e potere disciplinare nella magistratura”, a partire dal libro “Storie di diritti e democrazia” di Donatella Stasio e Giuliano Amato.
Conclude il ciclo di incontri “Un caffè con la magistratura”, sabato 14 dicembre alle 16 al Malavenda Cafè, in via Zecca. Un question time con Silvia Capone, Walter Ignazio – rispettivamente presidente della sezione dibattimento e procuratore aggiunto della Repubblica del Tribunale di Reggio Calabria – e Caterina Catalano, consigliere presso la Corte di appello di Reggio Calabria. Modera Giuseppina Laura Candito, segretario della Ges dell’Anm di Reggio Calabria.