Il collaboratore di giustizia nel corso dell’esame ha riferito in aula particolari inediti sulla figura dell’ex sanitario e anche sul figlio
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Si è a lungo soffermato sull’ex dirigente dell’Asp di Vibo, Cesare Pasqua, il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena che ha reso la propria deposizione nel corso del maxiprocesso nato dalle operazioni Maestrale-Carthago, Olimpo e Imperium. In particolare, rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro Andrea Buzzelli, dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, il collaboratore ha dichiarato che «Cesare Pasqua era un dirigente sanitario dell’Asp di Vibo, politicamente impegnato nonchè legatissimo a Pantaleone Mancuso, detto Vetrinetta. In pratica un laureato con il camice che si comportava però da ‘ndranghetista anche se lo si incontrava in strada ed io ho sempre provato astio per lui proprio perché ostentava questa sua amicizia con i Mancuso, gli stessi Mancuso che hanno ucciso mio padre».
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Pasqua ieri ha beneficiato di una sentenza di non luogo a procedere per il reato di abuso d’ufficio, aggravato dalle finalità mafiose (l’assunzione della nuora all’Asp), dopo la recente abrogazione del reato voluta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, ma rimane sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa, scambio elettorale politico-mafioso e minaccia aggravata dal metodo mafioso. «È sempre stato sostenuto politicamente dai Mancuso ed era in particolare un intoccabile poiché appoggiato da Pantaleone Mancuso, detto Vetrinetta. Era in pratica come un Mancuso a tutti gli effetti per quanto era ritenuto a loro vicino, ma non so indicare cosa faceva di preciso per i Mancuso. Posso però riferire – ha ricordato Bartolomeo Arena – che quando ero ancora ragazzo, e non ancora entrato nella ‘ndrangheta, mi sono scontrato in piazza Municipio a Vibo con un gruppo di ragazzi guidati da Giuseppe Mancuso, il figlio di Vetrinetta, che comprendeva anche un certo Contartese di Limbadi e quel Pontoriero di San Calogero che è stato poi ucciso in una strage e altri ancora. Non era però facile per loro prendermi o pestarmi perché io giravo sempre armato. Per monitorare i miei movimenti e quelli di mio cugino Giuseppe Pugliese Carchedi, il gruppo di Giuseppe Mancuso aveva incaricato il figlio di Cesare Pasqua, mi pare si chiamava Vincenzo, quello che poi è entrato in politica».
«Questa sorveglianza mia da parte del figlio di Pasqua, questo starmi alle costole, mi dava parecchio fastidio e per questo avevo intenzione di toccarlo, incendiargli qualcosa e fargli del male, ma mio zio Domenico Camillò, Antonio Grillo detto Totò Mazzeo, e Vincenzo Barba dissero che i Pasqua non andavano assolutamente toccati in quanto protetti da Vetrinetta e comunque persone che facevano favori. Anche mio zio Domenico Camillò era infatti amico di Cesare Pasqua, si davano del tu, e mi disse di abbandonare la mia intenzione di fargli saltare in aria la macchina in quanto con Pasqua entravano in gioco altri poteri come la massoneria».
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Un soggetto, Cesare Pasqua, che a detta del collaboratore Bartolomeo Arena, si sarebbe messo a disposizione degli ‘ndranghetisti, dando «un contributo importante ai Mancuso. Tra i favori fatti da Pasqua – ha concluso Arena – ricordo che mio cugino aveva preso in gestione una sala giochi che però doveva chiudere in quanto aveva realizzato un piano rialzato non autorizzato, ma grazie all’intervento di Cesare Pasqua la sala giochi restò aperta. Quando andavamo all’Asl da Cesare Pasqua c’era la fila di persone in attesa di parlare con lui. Riceveva regalie da tutti, c’era chi gli portava l’olio e chi il vino, e lui in cambio faceva favori»
Da precisare che Vincenzo Barba, 72 anni, alias il Musichiere, ritenuto esponente di vertice del clan Lo Bianco-Barba di Vibo ed attualmente detenuto in regime di carcere duro, si trova imputato nel troncone dell’abbreviato dell’inchiesta Maestrale per altre contestazioni ed è già stato condannato in primo grado nel maxiprocesso Rinascita Scott a 28 anni di reclusione. Domenico Camillò, 83 anni, di Vibo Valentia, non si trova invece imputato in Maestrale-Carthago, ma è stato condannato in Rinascita Scott con il troncone dell’abbreviato alla pena di 15 anni e 4 mesi di reclusione quale elemento di spicco della ‘ndrina dei Pardea. Il boss di Limbadi Pantaleone Mancuso (cl. ’47), detto Vetrinetta, è invece deceduto in carcere nell’ottobre del 2015, mentre il vibonese Antonio Grillo (alias Totò Mazzeo), ritenuto elemento di rilievo del clan Lo Bianco, è deceduto il 6 febbraio 2012. Vincenzo Pasqua, già consigliere regionale, non figura infine tra gli imputati di Maestrale-Carthago.