Sessantanove capi d'imputazione e cinquantanove indagati. In oltre 1800 pagine di ordinanza di custodia cautelare dell'operazione Hybris il gip Distrettuale di Reggio Calabria, Stefania Rachele, illustra le presunte condotte illecite, di stampo mafioso, della potentissima cosca di 'ndrangheta dei Piromalli di Gioia Tauro, finita al centro dell'ennesimo blitz antimafia coordinato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria.

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L'attività investigativa - come emerge dalle carte dell'inchiesta - ha preso il via in piena pandemia da Covid-19, quando su tutto il territorio nazionale, e ovviamente locale, la circolazione era pressoché vietata a causa della diffusione del coronavirus. Da questa premessa infatti è partita il gip Rachele per inquadrare il contesto mafioso in cui sarebbero stati commessi i reati addebitati ai presunti esponenti della cosca di Gioia Tauro.

Il periodo in cui tutto comincia ricade nel mese di settembre 2020 quando i carabinieri del Nucleo Investigativo di Gioia Tauro aprono l'informativa da cui nasce l'indagine denominata Hybris, conclusasi il 27 maggio del 2021. Al centro delle indagini le finalità illecite non solo dei Piromalli ma anche dei Molè di Gioia Tauro, una volta uniti a uno dei clan più temuti della 'ndrangheta.

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Il gip Rachele, evidenziando come le forti restrizioni anti Covid avessero in qualche modo causato un danno all'economia sociale del tessuto imprenditoriale e commerciale italiano, ha sottolineato il fatto che «la cosca Piromalli si è "ripiegata" all'interno della propria zona di competenza dimostrando una spiccata vivacità nello svolgimento di tradizionali forme di controllo del territorio che vanno dalle estorsioni ai commercianti, agli imprenditori agricoli, alle imposte autorizzazioni a qualsivoglia attività produttiva sia privata che pubblica che si è svolta all'interno del comune di Gioia Tauro».

Per il giudice cautelare di Reggio Calabria, «il quadro che restituisce l'indagine è, dunque, quello di una consorteria di 'ndrangheta perfettamente oliata e funzionante», in quanto, «in circa un anno e mezzo di indagine, si è avuto modo, da un lato, di fotografare l'assetto criminale interno alla cosca Piromalli, all'indomani della detenzione del reggente Antonio Piromalli, classe 1972, ed in attesa della scarcerazione del capo storico Giuseppe Piromalli, classe 1945, e dall'altro, i rapporti, in termini di divisione geo criminale del territorio gioiese, con la cosca Molè, un tempo alleata, oggi più che altro tollerata dai Piromalli».

L'alleanza rotta dopo l'omicidio di Rocco Molè

Alleanza incrinatasi dopo l'omicidio di Rocco Molè, in seguito al quale «si sono registrate una serie di episodi da cui inferire l'esistenza di una "divisione" del territorio gioiese in forza del quale i Molè gestiscono in regime di monopolio il mercato ittico e condividono con i Piromalli parte dei proventi estorsivi posti in essere ai danni degli imprenditori locali». Il gip inoltre fa riferimento anche al fatto che alcuni degli odierni indagati avrebbero lavorato alla "reunion" delle due cosche mafiose, che avrebbe trovato sponda in entrambe le consorterie.

Tuttavia, come spiega il gip di Reggio Calabria, «in merito all'assetto interno della cosca Piromalli, si è in sintesi compreso che, in assenza di un capo carismatico ed autorevole, la reggenza del clan era stata affidata a Salvatore Copelli, nipote diretto del capo storico Giuseppe Piromalli, classe 1945». Ma la figura di Copelli «era invisa al resto degli affiliati perché lo si accusava di gestire in modo parcellizzato gli interessi criminali della cosca traendo benefici prevalentemente personali». Ciò avrebbe creato dei dissidi interni «che stavano portando a un indebolimento - aggiunge il gip Rachele - della cosca atteso che gli affiliati stavano cercando di intraprendere strade autonome per l'accaparramento delle risorse illecite».

I più fidati "colonnelli" di Giuseppe Piromalli, classe 1945, ritenevano che la scarcerazione dello storico boss potesse sistemare le cose, in una sorta di "resa dei conti" che avrebbe messo tutti in riga dopo i malcontenti degli affiliati per la leadership di Salvatore Copelli. Proprio questa "frattura" all'interno della cosca Piromalli, a giudizio del gip Stefania Rachele, ha costituito «la grande fortuna della presente attività d'indagine posto che i commenti» di alcuni indagati «permettevano di mettere in luce, nel dettaglio, gli assetti interni dell'organizzazione oltre che a disvelare un numero cospicuo di reati fine commessi dai membri della cosca».

Secondo il gip, hanno rivestito un ruolo apicale all'interno della cosca Piromalli, Salvatore Copelli, Francesco Cordì e Girolamo Piromalli, ritenute «le figure più vicine, anche da un punto di vista documentale, al nucleo della famiglia Piromalli». I cosiddetti "luogotenenti" sarebbero, a dire del gip, Antonio Zito, alias "U palisi" e Cosimo Romagnosi, «attivi nel settore delle estorsioni e con specifica delega al controllo delle attività commerciali svolte all'interno del territorio di Gioia Tauro», Aurelio Messineo che si sarebbe occupato «del racket delle estorsioni e della gestione degli interessi economici dei Piromalli nel settore agricolo», Rocco Delfino, detto "u rizzu", che per il gip Rachele ha ricoperto il ruolo «del volto imprenditoriale della cosca».

I nuovi assetti della cosca Molè

Sullo sfondo, scrive ancora il giudice, «sono stati accertati i nuovi assetti interni alla cosca Molè che, a seguito degli arresti di Antonio Molè detto "u niru" e Rocco Molè, figlio di Girolamo Molè detto Mommo, vedeva in posizione apicale Antonio Molè detto "u jancu", figlio di Domenico. Gli investigatori sono giunti a questa conclusione grazie al monitoraggio dei "summit di 'ndrangheta" tra i Piromalli e i Molè che sarebbero serviti «per dirimere vicende di esclusiva valenza criminale, quale quella dei danneggiamenti subiti dal peschereccio di Alessandro Cutrì».

Oltre alla massiccia disponibilità di arma da fuoco, l'indagine della Dda di Reggio Calabria avrebbe anche portato alla luce una presunta attività di traffico di sostanze stupefacenti «gestita dai fratelli Domenico e Cosimo Romagnosi», i quali avrebbero utilizzato un negozio di frutta e verdura «quale luogo di snodo dei traffici illeciti». I Piromalli, infine, avrebbero avuto la possibilità di interagire anche con la comunità rom presente a Gioia Tauro, allargando i tentacoli in altre regioni. Per i pm antimafia ci sarebbero stati contatti con la Sacra Corona Unita e Cosa Nostra.

Uno degli indagati intercettato in Portogallo

Uno dei soggetti indagati è stato rintracciato a Setubal, in Portogallo. L’uomo, destinatario di mandato di arresto europeo, è stato individuato grazie al lavoro della polizia portoghese attivata dall’Unità I-can (Interpol Cooperation Against ‘Ndrangheta) del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia e dall’Esperto per la Sicurezza italiana a Lisbona, su input degli investigatori dell’Arma.