Il drone fuori controllo, la caduta nel vuoto. Nessuno può dimenticare, ma è come se non ci avesse mai lasciato. «Mentre il mondo è andato avanti», come cantava Jimmy Somerville
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“Per un amico” è una dolcissima canzone di Jimmy Somerville. A volte penso l’impossibile, che l’abbia scritta per Michele Porcelli e per tutti noi. L’ho ascoltata non so più quante volte. Per ogni amico andato via troppo presto. Perché le sue note ed il suo testo struggenti rendono ancor più vivo il dolore, e più è vivo più ti riporta vicino a chi non c’è più: «Non ho mai pianto come ho pianto su di te. Mentre mettevo giù il telefono ed il mondo è andato avanti. Altrove qualcun altro sta piangendo. Un altro uomo ha perso un amico, so che si sente come me. Mentre guardo il sole tramontare, mentre guardo il mondo svanire, tutti i ricordi di te tornano di corsa da me. Arriva l’estate e ricordo come avremmo marciato. Avremmo marciato per l’amore e la pace, insieme sotto braccio. Le lacrime si sono trasformate, si sono trasformate in rabbia e disprezzo. Non ti lascerò mai cadere, una battaglia ho trovato».
L’ascolto e la riascolto. Perché a volte è come se scegliessimo pervicacemente di continuare a soffrire per non lasciar andare via una persona cara. Michele se n’è andato l’8 aprile. Il 2021 è l’anno che ce l’ha strappato: un incidente sul lavoro, una tragedia, una fatalità. Eravamo a Buonvicino, un centro della provincia cosentina che si abbarbica sul Pollino e si affaccia sulla sull’Alto Tirreno. Dovevamo realizzare un documentario sulla strage che qui si consumò nel 1996. Perse il controllo del suo drone che cadde nella valle. Disse che andava a recuperarlo. Dovevo impedirglielo.
S’avventurò per una scarpata, scivolò nel vuoto e morì. Ricordo il vuoto oltre la balaustra che mi chiamava. Ricordo il suo corpo riverso a terra, sotto il lenzuolo bianco. Ricordo il peso della lettiga quando lo portammo via da lì. Ricordo il portellone che si abbassò ed il freddo pungente che mi avvolse, mentre andava via e rappresentavo così indegnamente tutto il mondo a cui diceva addio. La mia vita, e anche le nostre credo, non furono più le stesse da allora. Quello fu un bivio.
Michele era il nostro regista, montaggista, operatore. Michele era tutto. E tutto negli studi di LaCTv e, prima, di Rete Kalabria, parla di lui. L’Editore lo ha ricordato intitolandogli gli studi televisivi, dove ci sono due quadri raccontano il suo sorriso ed i momenti felici, che tra un tg e l’altro, un montaggio e l’altro, si condividevano con i giornalisti ed i tecnici scaricando le frustrazioni della quotidianità. La morte forse rende tutti noi un po’ migliori di come siamo stati, ma io Michele io lo ricordo così com’era. Facilone, arruffone, cocciuto, distratto, ma anche buono, generoso, gentile, disponibile. Ancora ci capita di sentire la sua voce, nel fisiologico trambusto di una redazione che non si ferma mai. Ad alcuni di noi capita ancora di chiedersi se per un servizio possa accompagnarci proprio Michele: nessuno dimentica la sua morte, ma è come se non ci avesse lasciato mai.
Questo è il primo Natale che viviamo senza di lui, che con la sua voce baritonale animava la regia. Lui che faceva la corte a Rossella. Lui che quando litigavamo mi aspettava fuori per ricordarmi quanto volesse bene a mio padre. E io gli chiedevo: «E che c’entra?». E lui: «C’entra… C’entra…». Lui che con Cristina era cane e gatto, fratello e sorella. Lui che richiamava Rosalba, la quale poi mi diceva che Michele era quello a cui voleva più bene. Lui che spente le luci se ne andava con Giuseppe nello studio a suonare con gli strumenti di Okkiuzzi alle Nove. Lui che non era mai puntuale, ma che se prendeva un impegno lo rispettava. Lui che aveva perso la mamma ed il papà, che non aveva fratelli e che ci chiamava «famiglia». Lui che ci ricorda come non riconosciamo il valore delle persone finché non le perdiamo.