Era solo un tavolino. Pure brutto, se la vogliamo dire tutta, ma i gusti son gusti. La statua di bronzo (sempre che di bronzo si tratti) recuperata ieri dal fondo asciutto del lago Angitola, in provincia di Vibo Valentia, non è altro che un vecchio complemento d’arredo ai confini del kitsch, che avrebbe fatto la sua porca figura davanti a un divano in broccato rosso e arabeschi. Eppure, il cortocircuito informativo è scattato senza che nessun salvavita mediatico interrompesse il flusso di notizie. Tutte le testate locali hanno rilanciato il ritrovamento accidentale, l’emozione del passante che ha scorto la silhouette femminile nel fango secco, l’opinione dell’esperto (Sic!), le immagini dell’intervento di un team speciale di pompieri-speleologi. Fino alla trionfale foto dove tutti i soccorritori posavano orgogliosi davanti al tavolino appena “salvato”. E noi della stampa a scrivere, fotografare, girare, intervistare, mentre i clic dei lettori arrivavano benedetti come la pioggia dopo la siccità.

 

La piccola statua, data in consegna ai carabinieri, è stata subito ribattezzata con nomi che esprimevano tutta la voglia di crederci: la ninfa di Maierato, la fanciulla del lago. C’era anche chi già fantasticava sui “Bronzi dell’Angitola”, convinto che un colpo di fortuna di queste proporzioni meritasse una coppia in grado di competere con quella di Riace. I primi ad accorgersi che qualcosa non quadrava nella posa plastica della figura femminile sono stati gli stessi lettori che grazie a Google immagini hanno svelato in fretta l’arcano: era solo il pezzo portante di un tavolino. A quel punto la verità è stata evidente in tutta la sua imbarazzante dimensione per la stampa locale, che sicuramente all’inizio ha agito in buona fede, ma senza lasciare che gli anticorpi professionali facessero il loro lavoro, magari ricordando la storica burla delle facce di Modigliani che si consumò a Livorno nel 1984.

Un disagio che non può essere stemperato neppure dai condizionali e dagli avvertimenti alla cautela che comunque farciscono gli articoli sul ritrovamento. Né serve discolpare noi stessi facendo appello alla mobilitazione straordinaria dei vigili del fuoco, tanto più che proprio in una loro foto, con tanto di logo a rivendicare la paternità dello scatto, si vede un pompiere che si cala con una corda verso la piccola statua e, poco distante, si nota chiaramente il piano di vetro ovale che completava il mobile. Bastava guardare meglio, senza farsi sopraffare dalla voglia di pubblicare tutto e subito.

 

Ma al netto dell’errore grossolano che tutte le testate hanno commesso e che comunque può essere giustificato dalla volontà di stare sul pezzo al pari degli altri, il ritrovamento della Ninfa (tarocca) di Maierato rappresenta un monito di cui fare tesoro. Non solo per i giornalisti, pressati quotidianamente dalla velocità del web, sul cui altare, però, non si può sacrificare la verità optando per una più accattivante veridicità. Ma anche per i lettori, che in questa storia possono trovare conferma che pensare con la propria testa, senza assorbire acriticamente tutto ciò che giunge da Internet, è il primo passo per essere davvero liberi.

 

Enrico De Girolamo