Un simbolo della lotta alla mafia, alla corruzione, ai colletti bianchi. Il suo nome firma le più importanti inchieste antimafia. È idolatrato e amato da chiunque (o quasi) come fosse il salvatore in grado di liberare quella Regione marchiata a fuoco dalla vergogna della ‘ndrangheta, di liberarla dagli stereotipi andati in scena nel film che tentava maldestramente di rievocare la strage di Duisburg. Quella stessa terra che ha sete di giustizia, che ha sete di normalità, una normalità agognata che politica e malaffare, sembrano relegare ad un’utopia.

 

Nicola Gratteri, attuale procuratore di Catanzaro, con le sue indagini ha smantellato sistemi illegali, decapitato cosche, confiscato patrimoni milionari. È un magistrato autorevole e umano, apprezzato dall’opinione pubblica, ammirato e anche temuto da chi frequenta ambienti opachi, da chi si muove nell’ombra dell’illegalità ai danni di chi tutti i giorni tenta con sacrificio, dedizione e onestà di riscattare questa terra bella e maledetta.

 

È lui il pm che fino a pochi mesi fa alle conferenze stampa implorava i cittadini di denunciare, di fidarsi di lui e della magistratura. La sua porta – diceva – era sempre aperta per accogliere ed ascoltare tutti. E oggi qualcosa si muove. La gente ha risposto al suo appello. Certo, la strada ancora è tutta in salita. Ma gli imprenditori soffocati dal giogo della ‘ndrangheta hanno iniziato a ribellarsi. E proprio le denunce degli imprenditori sottoposti ad estorsione sono state decisive per far scattare l’operazione “Malapianta” che nei giorni scorsi ha portato all’esecuzione di 35 provvedimenti di fermo. «È successo un miracolo, è successo che imprenditori turistici che gestiscono grosse strutture alberghiere hanno denunciato, si sono ribellati alla 'ndrangheta. Questo per noi – ha spiegato il capo della Dda catanzarese nel corso della conferenza stampa convocata per illustrare i dettagli dell’operazione - è un grande evento, sul piano probatorio ma anche perché ci serve per misurarci e misurare la nostra credibilità come Dda e come polizia giudiziaria. Possiamo riempirci la bocca di parole e discorsi, ma i fatti - ha spiegato il magistrato - sono questi: i fatti sono che imprenditori, che hanno pagato negli anni tangenti anche per 700-800 mila euro e hanno subito estorsioni fatte in tanti modi, nell’acquisto di caffè e di tutto ciò che la merceologia prevede, che hanno subito imposizioni di ogni tipo, hanno denunciato».

 

Sì, perché di Gratteri la gente inizia a fidarsi, a bussare alla sua porta, la gente inizia a scegliere una strada diversa, una vita diversa. Ed è di questo che la Calabria ha bisogno. Sono queste le medaglie al petto del procuratore e non frasi ad effetto come quelle contenute nella miriade di comunicati stampa che in queste ore si susseguono da parte di politici, associazioni e svariate istituzioni per esprimere solidarietà e vicinanza al giudice definito da alcuni indagati «un morto che cammina» e accostato alla figura di Falcone. Quelli che intercettati parlano così altro non sono che codardi e verso il giudice - proprio come ben hanno chiarito gli inquirenti - «hanno una timorosa reverenza».

 

Gratteri, oggi più che mai, non ha bisogno di note stampa di circostanza che gli ricordino di non indietreggiare, il suo orgoglio, la sua benzina, sono proprio quelle persone che hanno scelto di rivolgersi alle istituzioni: «Ci inorgoglisce, ci carica, ci dice che siamo sulla strada giusta, che in questi anni abbiamo seminato bene e fatto le cose sul serio. Questa – ha dichiarato il procuratore capo della Dda  di Catanzaro - è la cartina di tornasole rispetto a tutti i proclami che possiamo fare».

 

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