«Me l’ha presentato tramite “il cacciatore” e Monardo e vediamo di farlo entrare con noi nel direttivo». È recentissimo – dello scorso 21 gennaio – l’interrogatorio in cui Andrea Beretta, ex capo ultrà della Curva Nord dell’Inter – l’interrogatorio in cui il collaboratore di giustizia ricostruisce il suo primo incontro con Antonio Bellocco, che diventerà prima suo socio negli affari criminali che ruotano attorno a San Siro e poi acerrimo nemico, fino al finale tragico di Cernusco sul Naviglio e alla morte del rampollo del clan di Rosarno proprio per mano di Beretta.

In curva cambia tutto dopo una partita tra Atalanta e Inter: lo scontro con gli Hammerskin, che vogliono prendersi la curva, sta per esplodere e Bellocco sembra la soluzione migliore per riportare la gestione in mano a Beretta, al quale si aggiunge Marco Ferdico che, grazie alle sue amicizie calabresi, riesce ad agganciare Totò il Nano. Per Beretta, Monardo e “il cacciatore” – le due persone (Monardo resta senza nome in questa parte del racconto) che avrebbero creato il contatto con la Calabria – avevano un rapporto pregresso con Ferdico: «Non so se li aveva conosciuti quando lui era andato in Calabria a giocare a pallone (Ferdico ha giocato in passato nel Soriano, in provincia di Vibo Valentia, ndr), li aveva conosciuti lì, o li ha conosciuti dopo».

Per Beretta, questi rapporti tra calabresi sono una giungla in cui «si conoscono tutti», sono tutti parenti o cugini. E i nomi non sono il suo forte. Ciò che ricorda è che «dopo la partita» il gruppo decide di vederci in pizzeria a Carugate: «Eravamo io Marco Ferdico, Franco Ferdico, Maurino Nepi, “il cacciatore”, Monardo e Antonio Bellocco, e ci siamo conosciuti lì in quella pizzeria».

A quell’appuntamento Bellocco sarebbe arrivato «con quei due lì, con “il cacciatore” e con Monardo», uomo del quale Beretta continua a fare soltanto il cognome. Lo scopo della pizza in compagnia è quella di sistemare l’affare con gli Hammerskin. Il rampollo del clan di Rosarno avrebbe detto a Beretta: «Tu devi dire che io e te ci conosciamo da tanto tempo, che avevamo a che fare col materiale», che in gergo sarebbe la droga. Bellocco sarebbe stata «la soluzione» al problema, Monardo e “il cacciatore” gli intermediari che lo avrebbero presentato a Ferdico.

Con Bellocco si pianifica un incontro con Mimmo Bosa, capo della fazione ultrà avversaria e ci si scambiano storie da stadio. Anche il calabrese avrebbe detto a Beretta che gli piaceva «fare gli scontri anche quando giocava la squadra del paese».

L’idea di inventare una lunga conoscenza con Beretta serve a disinnescare le mire di Bosa che si vanta delle proprie amicizie calabresi nate e coltivate in carcere: De Stefano, Mancuso, Morabito.

Bellocco – racconta sempre Beretta – sulle prime se la prende un po’ con Ferdico che, prima di chiamare lui, ha portato a discutere con gli Hammerskin personaggi di caratura inferiore («perché hai portato lui? Dovevi portare me»). L’ultrà pentito prova a ricostruire il percorso che avrebbe portato Bellocco al Nord. Sarebbe nato tutto su suggerimento di Monardo e del “cacciatore”: «Adesso – è la sintesi di Bellocco – te la troviamo noi la persona che è incisiva su questo fronte».

Beretta viene a conoscenza anche di altre storie che riguardano i suoi compari calabresi: Bellocco, a suo dire, avrebbe promesso anche a chi si era mosso per farlo entrare nella Curva Nord un tornaconto sugli affari. E il suo vero scopo – lo scoprirà più avanti anche Beretta – sarebbe stato quello di prendersi tutto. Al capo ultrà oggi pentito lo avrebbe rivelato un uomo che lui chiama “Bellebuono”. È lo stesso che gli racconterà di un altro affare in ballo tra i calabresi e Ferdico: «Mi dice che praticamente Marco aveva perso 100mila euro per un lavoro da fare al porto, che doveva arrivare materiale, e in questo lavoro c’erano dentro anche Monardo e “il cacciatore”».

Sono tanti i business che si innestano sulle storie del tifo criminale.