‘NDRANGHETA STRAGISTA | Giuliano Di Bernardo svela i legami della massoneria con la ‘ndrangheta ed il ruolo nel progetto separatista e nella stagione delle stragi
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«Gelli è stato inventato dalla Cia, dagli americani, perché il governo americano aveva perso fiducia in Moro e Andreotti e iniziava a temere che in Italia ci potesse essere il sorpasso comunista». Sono parole che raccontano un pezzo di retroscena storico degli ultimi 70 anni quelle pronunciate dal gran maestro del Goi e fra i pochissimi ad aver combattuto strenuamente le infiltrazioni mafiose all’interno della massoneria. Tanto da uscire dal Grande oriente d’Italia e fondare una nuova obbedienza. Giuliano Di Bernardo è stato teste oggi al processo “’Ndrangheta stragista”, in corso davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria e che vede imputati Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone quali presunti mandanti degli agguati ai carabinieri nella stagione delle stragi.
Massoneria e ‘ndrangheta
Il Gran maestro ricorda alcuni fatti abbastanza noti, ossia che il giudice Cordova, il primo ad indagare effettivamente sui rapporti fra massoneria e ‘ndrangheta nel suo periodo di servizio alla Procura di Palmi, gli rivelò che la criminalità organizzata calabrese controllava il territorio del Nord Italia proprio attraverso le logge massoniche. «Ettore Loizzo, ingegnere di Cosenza e mio vice al Goi – spiega Di Bernardo – nel corso di una riunione della Giunta del Grande Oriente d’Italia disse che poteva affermare con certezza che in Calabria su 32 logge, 28 erano controllate dalla ‘ndrangheta. Io saltai e gli dissi: “E cosa vuoi fare?”. Lui mi rispose: “Nulla, assolutamente nulla”. E mi spiegò che viceversa lui e la sua famiglia rischiavano gravi rappresaglie. Mi recati allora dal duca di Kent a cui esposi la situazione, ma mi disse che ne era già a conoscenza».
Di Bernardo ricorda anche come in precedenza, intorno al 1990, nel corso di una visita in Sicilia seppe da Massimo Maggiore, palermitano presidente del più alto organo della Giustizia massonica, che il più alto esponente della circoscrizione del Goi di Mazara del Vallo «era mafioso, nonché numerosissimi esponenti del Goi siciliani, e specie nel trapanese, erano mafiosi. Dunque capii che davvero, come diceva Cordova, il Goi era una “palude”. Faccio presente – spiega il gran maestro – che la situazione calabrese era molto più preoccupante in quanto la massoneria calabrese era ben più ramificata e potente di quella siciliana». Di Bernardo allora, su suggerimento del duca di Kent fonda un nuovo ordine la Gran loggia regolare d’Italia. «L’indagine di Cordova – rimarca Di Bernardo – andava nella direzione giusta. Ho dato a Cordova documenti importanti da cui poter svolgere un’azione importante. Ma nulla è stato fatto». Ma quando il procuratore Lombardo chiede come si possa spiegare questo rapporto fra ‘ndrangheta e massoneria, Di Bernardo fa una premessa: la relazione fra massoneria e Cosa nostra è diversa da quella con la ‘ndrangheta. «Io penso - prosegue il gran maestro – che il punto di giuntura sia nel rituale. Cioè il rituale usato in massoneria e quello usato nella ‘ndrangheta hanno, sia pure con terminologie diverse, una base in comune. Per entrare in massoneria si usa un rituale. Per entrare nella ‘ndrangheta si usa un rituale che però ha lo stesso significato: quello di vincolarti al segreto una volta che tu sei dentro. Questo ha facilitato molto la compenetrazione fra ‘ndrangheta e massoneria».
Il progetto separatista
Dalle parole di Di Bernardo emerge anche come la massoneria ebbe un ruolo nei progetti separatisti dell’epoca. «Mi informava di questo il mio segretario personale, Savina. Mi diceva che c’erano affiliati del Goi che sostenevano questi movimenti separatisti. Ma l’informazione si fermava a questo e non avevo strumenti per approfondire e dovevo risolvere problemi più importanti. Savina riceveva le informazioni dalla Calabria, cercavano di coinvolgere la sede centrale Goi per sostenere questi movimenti». Fra le città calabresi, però, c’era una bella differenza: «Reggio Calabria era centro propulsore. Da una parte c’era Cosenza che aveva una sua entità e realtà che tutto sommato, rispetto a un criterio di gravità, era molto meno grave. Catanzaro contava poco. Tutto ciò che avveniva all’interno delle massonerie si concentrava a Reggio Calabria. I movimenti separatisti, però, non rientravano nella visione dell’Italia che io avevo né che il Goi aveva».
La stagione delle stragi
Un’idea, quella di Di Bernardo, che si sposa anche con la strategia stragista. «Penso che, tutto sommato, tutto si muovesse all’interno dello stesso contesto delle separazioni interne. L’idea che mi sono fatto era che lì c’era qualcuno che tirava le fila all’interno di contesti diversi. Sì quella stagione è maturata a contatto con ambienti massonici».
Il traffico di armi
Ma il Goi si incrocia anche con un traffico di armi. Su sollecitazione del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, infatti, Di Bernardo svela un importante retroscena: «Ero nella mia residenza sul Gianicolo e suona al telefono alle tre di notte. Era il 1991. Mi sento dire con una voce da straniero “Gran maestro noi avremmo bisogno delle stesse cose che ci ha dato prima”. Io avrei potuto dire “sta parlando con un’altra persona”. Però sono stato al gioco e ho chiesto “cosa avete bisogno in particolare?” e inizia a farmi un elenco di armi non solo leggere ma anche pesanti. Quando lui si accorge del senso delle mie domande, mi dice “Sto parlando con Armando Corona?”. Io dico “No con Giuliano Di Bernardo” e lui mette giù. Per me si è accesa una spia. Capii che quella telefonata proveniva dall’Africa, forse dalla Somalia».
Gelli, la Cia e lo spettro del comunismo
Ma è quando l’attenzione si sposta su Licio Gelli che Di Bernardo svela alcuni particolari molto interessanti. «Gelli è stato inventato dalla Cia, dagli americani – dice con voce ferma e sicura Di Bernardo - perché il governo americano aveva perso fiducia in Moro e Andreotti e iniziava a temere che ci potesse essere il sorpasso comunista. Quando gli americani non hanno più fiducia negli organi istituzionali, vanno alla ricerca dell’uomo nuovo, fuori da ogni contesto». Il gran maestro fa riferimento alla figura di Gigliotti, ossia colui che favorì lo sbarco degli americani e chiese aiuto alla mafia. Fu lui a rifondare la massoneria in Italia. «Lui propose Gelli. Disse: “Il salvatore dell’Italia è quest’uomo”. Da quel momento Gelli è stato il referente unico ed esclusivo del governo americano, per evitare che in Italia si facesse il sorpasso dei comunisti. Gelli ha avuto montagne di dollari, ma soprattutto il governo americano ha messo all’obbedienza di Gelli i vertici italiani economici, militari e della magistratura. Tutti nella sua obbedienza. Quest’uomo all’improvviso si è ritrovato un potere che penso nessuno ha mai avuto in Italia. Ed è vero: si parla di questo progetto politico di Gelli, il piano di rinascita. Ma cosa avviene? Gelli si era impegnato a modificare l’Italia per evitare il sorpasso. Ma quando Gelli riceve i soldi dagli americani fa i suoi affari e non pensa allo scopo fondamentale. Gli americani cominciano a sollecitarlo. E allora lui, come confidato a qualche suo collaboratore, non ce la fa più e si mette a scrivere così un progetto a caso. Tradisce gli americani, mettendo da parte i fini politici».
I tentativi di rientro
Di Bernardo spiega come Gelli avesse la sua base all’interno del Goi. «Una base molto forte. Ufficialmente tutti osannavano Gelli. Ma io – rincara – ho avuto modo di capire che questo non era vero. Gelli, dopo la mia elezione, mi invia due lettere in cui mi chiede di essere riammesso. Io le leggo e informo la giunta che mi sono arrivate queste lettere e non faccio nulla. Una sera Eraldo Ghinoi mi viene a trovare e mi chiede se ho ricevuto le lettere. Io dico che, a parte la mia idea personale, Gelli non può né deve tornare. E che se anche io volessi voluto proporre il suo rientro, l’avrei dovuto presentare in Gran Loggia con la certezza che sarebbe stato bocciato a grande maggioranza. E lui mi dice: qui ti sbagli. Prova a metterlo all’approvazione e vedrai che sarà approvato. A questo punto, mi dice, “io sono amico di Gelli da tanto tempo” e mi fa vedere una medaglia di oro e platino ricevuta da Gelli. Io cominciai a pensare: è questa la massoneria».
La tentazione del venerabile
Di Bernardo svela ancora come Gelli, fra la fine del 1991 e il 1992, gli proponga prima del denaro, attraverso un intermediario, e poi un’offerta quasi irrinunciabile l’elenco vero della P2 con i relativi fascicoli. «Cioè un elenco non parziale, quale quello sequestrato dalla magistratura, ma quello vero. “Così potrai ricattare tutta l’Italia”, mi viene detto”». Ed alla domanda del pm Lombardo su chi fosse quell’emissario, per la prima volta in tutta la sua deposizione, Di Bernardo sceglie il silenzio: «Preferisco non dirlo». A testimonianza che si tratta probabilmente di un personaggio molto in vista ancora oggi. «Ci ho pensato, ma poi ho deciso di non procedere». Ed a riprova dell’esistenza di un elenco completo, non ancora noto, Di Bernardo porta un ulteriore episodio: «Dopo la mia elezione chiede di incontrarmi il segretario personale del gran maestro Battelli. Questo segretario voleva fare una dichiarazione al Gran maestro da firmare. Infatti lo incontro e mi dice che una sera Gelli si presenta nello studio del Gran maestro Battelli con un gran fascicolo e gli dice “questo è l’elenco della P2”. Battelli inizia a sfogliarlo e diventa di tutti i colori. Alla fin fine, Battelli chiude e dice a Gelli: “Riprendilo, questo io non l’ho mai visto”. E dice al suo segretario che i nomi che ha visto lì non li vuole dire. Il segretario si sente in dovere di fare questa dichiarazione. Io ho la cognizione che il vero elenco esiste ma non sappiamo dove. Questo avviene dopo che la loggia P2 è stata sciolta. Per sciogliere la P2 è stata necessaria la legge Anselmi, anche se non scioglie proprio nulla perché contiene una contraddizione che contrasta con un articolo della Costituzione».