Seby Vecchio, ex assessore comunale, arrestato per mafia anni fa e oggi collaboratore di giustizia, entra nel racconto investigativo sulla gestione delle case popolari a Reggio Calabria con un verbale del marzo 2022. L’inchiesta della Dda di Reggio Calabria ha portato oggi all’arresto di nove persone (due in carcere, sette ai domiciliari) e ipotizza una forte presenza della ’ndrangheta nell’assegnazione degli alloggi Aterp, a volte con metodi a dir poco spicci. «Ti taglio la testa a te… a tua madre… a tuo padre!!!… ti brucio vivo… ti brucio la casa… te ne faccio di tutti i colori», è uno degli esempi finiti nell’inchiesta firmata dal procuratore capo Giovanni Bombardieri e dai pm Sara Amerio e Nicola De Caria.

Vecchio racconta ai pm che «la criminalità organizzata decide le assegnazioni delle case popolari in tutta la città di Reggio Calabria, in particolare ad Archi, Arghillà e Modena». Dinamica non fine a sé stessa, secondo il pentito che conosce bene anche le dinamiche della politica cittadina: «L’assegnazione illecita degli immobili – spiega – permette alla criminalità organizzata di gestire importanti bacini di voti da far confluire sul candidato della cosca di riferimento». Si torna sempre lì, al consenso. Con un modus operandi che appare ben oliato: «Sappiamo quali sono gli appartamenti vuoti o delle persone decedute o che hanno consegnato le chiavi – sono sempre parole di Vecchio –. Il politico, in campagna elettorale ma anche dopo, viene avvicinato e gli viene chiesto di favorire un “amico” (in termini ’ndranghetisti), superando la graduatoria. È molto difficile ottenere una casa tramite graduatoria regolare». E le graduatorie irregolari, che diventano effettive per l’assegnazione degli alloggi, le gestirebbe la ’ndrangheta.

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Summit tra politici e capi rom per evitare rivolte 

Vecchio parla di «un summit con l’Americano (soprannome di Enzo Bevilacqua uno dei capi rom, ndr) per l’assegnazione delle case ad Arghillà ed evitare così guerriglie». Al summit avrebbero partecipato anche politici. Il collaboratore tira in ballo, in riferimento a quel summit, l’ex sindaco e governatore Giuseppe Scopelliti. Scopelliti non è indagato e non vi sono al momento riscontri a suo carico.

Le parole del pentito ipotizzano, comunque, un sistema ampio: «In cambio delle assegnazioni degli immobili, si avevano voti garantiti alle elezioni. C’era tutto un sistema che riguardava politici, assessori, funzionari, dirigenti e appartenenti alla ’ndrangheta. Questo vale per i quartieri di Archi, Gallico, Modena, Arghillà e altri». Una cosca di pertinenza per ciascun quartiere: i Caridi a Ciccarello, Modena e San Giorgio; i Logiudice a Santa Caterina. E figure di raccordo tecniche o politiche, come quella di un «assessore», Michele Raso, anche lui non indagato, che «si occupava dell’assegnazione illecita delle case popolari».

La mazzetta da 5mila euro per avere una casa 

«Quando qualcuno non otteneva la casa dal politico di turno – continua Vecchio – venivano a lamentarsi da me e mi riferivano del denaro versato a titolo di corruzione». Anche in questo caso, il pentito parla di «un sistema» utilizzato «anche per le case minime, vicino al campetto di calcio di San Sperato». La circostanza avrebbe riguardato una sua zia che «ha ottenuto un’abitazione versando del denaro» nelle mani di quell’assessore: «la mazzetta era pari a circa 5mila euro. Di solito questo era l’importo, poi variava a seconda dei casi».
Riguardo alla dirigente dell’Aterp Eugenia Rita Minicò, finita agli arresti domiciliari, Vecchio riferisce che «era a disposizione per l’assegnazione illecita delle case» ma non sa se avesse «parentele o comparati». «Certamente – dice – era a disposizione di tutti; per tutti intendo gli amici dei politici o gli amici della ’ndrangheta. Un cittadino comune aveva poche speranze di ottenere un immobile lecitamente secondo la graduatoria».

Alcune case non si potevano toccare perché erano della ’ndrangheta

Alcune case, «magari abbandonate», si potevano prendere, «altre non si potevano toccare, in quanto d’interesse della ’ndrangheta». In ogni caso, la logica era quella di privilegiare «l’interesse del “territorio”, inteso in senso ’ndranghetistico (…). Le chiavi non venivano quasi mai restituite all’ente, ma passavano direttamente nelle mani del nuovo occupante. La casa restava a disposizione della cosca. In attesa che interessasse a qualcuno».
I clan per controllare il territorio, la politica per governare il consenso, a ciascuno il proprio vantaggio. Vecchio rievoca le due elezioni di un consigliere comunale «falsate dai voti da lui presi anche come contropartita per le assegnazioni illecite delle case popolari. Certamente chi mi supera di 300 voti non ha un voto di preferenza, ma ha un voto di scambio». Ci si può fidare: l’ex assessore se ne intende.