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Ucciso per aver svolto il suo lavoro. Questo il destino del fotografo di Lamezia Terme Gennaro Ventura che pagò con la vita per aver contribuito a far arrestare, durante la sua attività di carabiniere a Tivoli, Raffaele Rao, ritenuto uno dei responsabili di una rapina ai danni di un consulente tecnico che custodiva un ingente quantitativo di sostanze stupefacenti presso la propria abitazione, droga sottratta da due persone che Ventura, per caso aveva visto scendere dall’abitazione del perito.
Venti anni dopo la risoluzione del delitto, che solo ora si scopre essere stato programmato da Domenico Antonio Cannizzaro, cugino di Rao. Esecutore materiale fu invece Gennaro Pulice, ora collaboratore di giustizia. Proprio Pulice è stato a svelare i particolari che hanno permesso di ricostruire i dettagli dell’efferato omicidio.
Fu il collaboratore di giustizia il 16 dicembre 1996 a dare un appuntamento a Ventura con il pretesto di fare un servizio fotografico presso un terreno. Ma nessun servizio fotografico era previsto, nessun lavoro, Pulice sparò a Ventura e nascose il cadavere in una botola per la fermentazione del mosto.
Solo nel 2008 furono scoperti i resti accanto ai quali furono trovati anche l’anello nuziale, una catenina e le sue macchine fotografiche, elementi che confermano l’incarico professionale alla base dell’appuntamento con Pulice. Gli esami del Dna confermarono l’identità della vittima e ora otto dopo arriva la risoluzione del delitto.
È stato il Procuratore Bombardieri a raccontare a ricostruire movente e contesto del delitto durante la conferenza stampa, tenutasi oggi a Catanzaro, alla presenza anche del capo della polizia distrettuale di Catanzaro, Nino De Santis, il suo vice Angelo Paduano e il dirigente del Commissariato di Lamezia Terme, Antonio Borelli.