VIDEO | La madre del 17enne, morto ai Riuniti di Reggio Calabria nel 2017 in circostanze ancora poco chiare, lancia un appello alla Procura: «Ancora non so cosa sia successo. Ditemi se c'è stata negligenza da parte dei medici»
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
«Mio figlio era tutta la mia vita. Voglio sapere perché è morto e voglio giustizia per lui». Non si dà pace la signora Cinzia, mamma di Domenico Ambrogio il 17enne morto in circostanze anche tutte da chiarire agli ospedali “Runiti” di Reggio Calabria, l’otto ottobre del 2017. Il giovane da poco aveva iniziato la scuola ed era in ottima salute fino al 23 settembre quando ha accusato dolori addominali e vomito. Viene dimesso dopo poco, ma nei giorni successivi continuerà a stare male e ad urinare sangue. Di nuovo i familiari lo portano in ospedale e viene ricoverato. Gli esami effettuati, però non riscontrano alcuna patologia precisa. Nel frattempo la sua situazione peggiora e non riuscirà neanche più ad andare in bagno. Perderà addirittura la vista e l’uso delle gambe. Viene trasferito in neurologia. Il suo quadro clinico precipita e dopo essere trasferito in rianimazione morirà a causa di un arresto cardiaco. Sono passati due anni e la donna attende che l’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Gaetano Paci e dal pm Diego Capece, le dia una risposta. Cinzia vuole sapere il perché della morte del suo bambino e soprattutto se c’è stata negligenza da parte dei sanitari. «Dopo la nostra denuncia e dopo essere stati ricevuti in Procura non abbiamo più saputo nulla- sottolinea la signora Cinzia. Mio figlio non me lo ridarà indietro più nessuno ma io voglio la verità. Voglio sapere cosa è successo e se qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi. Abbiamo il diritto di sapere perché nostro figlio è morto. Ad oggi non abbiamo nessuna risposta».
Il trasferimento in neurologia: «Ci dicevano che era pazzo»
Per la donna il dolore è enorme. Si è sentita prima abbandonata di chi aveva in cura suo figlio e adesso dalle Istituzioni. Per la signora Cinzia vi è stata una sottovalutazione delle condizioni fisiche di Domenico e non esita a dirlo. «Non dimenticherò mai le sofferenze che ha provato in quei giorni e i medici mi dicevano che era “un problema di testa, psicologico”. Domenico era un ragazzo sano, non hai mai sofferto di nessuna problematica psichica. Alcuni medici, mentre mio figlio perdeva l’uso della vista e delle gambe, mi dicevano “non ha niente” e io ancora ricordo mio figlio strisciare per terra dal dolore. Non li perdono per questo. Lo hanno trattato come se fosse l’ultimo degli ultimi. Addirittura volevano dimetterlo, mi chiedevano di portarlo a casa e di firmare le dimissioni. Ma stava male e non ho acconsentito. Non gli hanno neanche fatto la visita oculistica. Mi dicevano che “doveva andare a farla fuori”».
L’appello delle zie: «Chi sa, parli»
A chiedere la verità c’è una famiglia intera come le zie, Pina e Marcella Versace, che lo hanno assistito in quei giorni di sofferenze. Tutti da due anni aspettano di sapere cosa sia successo, perché il loro Domenico non c’è più e soprattutto se poteva essere salvato. «Viviamo oggi con rabbia e con un grande senso di colpa- ci racconta zia Pina. Forse se lo avessimo portato in un altro ospedale adesso mio nipote sarebbe qui con noi. Non dimenticherò mai le sue sofferenze e i medici ci dicevano che non aveva nulla. Noi eravamo disperati ci siamo messi nelle loro mani, ma lo hanno trattato peggio di un “cane”- punta il dito la donna». Zia Pina ricorda esattamente poi, un altro particolare. Il nipote non riusciva ad andare in bagno e infatti, durante il ricovero un sanitario le disse che suo nipote ”aveva un masso”. «Ancora oggi mi chiedo cosa volesse dire quel medico perché dall’autopsia questo “masso” non è stato riscontrato. Aveva un’occlusione mio nipote? È possibile che non se ne siano accorti e soprattutto perché non è stato rilevato poi nell’esame autoptico? Che fine ha fatto?». Domande a cui l’inchiesta della Procura dovrà dare delle risposte.
«Lo hanno lasciato morire»
La famiglia Ambrogio-Versace nonostante ci sia stato il “silenzio” in questi due anni continua da avere fiducia nel lavoro della magistratura. La zia Marcella, però lancia un ulteriore appello: chi sa cosa è successo, parli. «Mio nipote era un ragazzo d’oro- ci racconta- morire a 17 anni è una cosa fuori dal mondo. Hanno lasciato morire mio nipote, ne sono sicura- afferma. Non hanno capito cosa avesse eppure lui lo diceva ai medici. Ci dicevano che era pazzo, ma mio nipote non era pazzo. Stava male. Lo hanno trattato peggio di una “pezza”, almeno quella serve a qualcosa. Se qualcuno sa cosa è successo che lo vada a raccontare. Che si liberi di questo peso, di questo male- ha concluso. E che così liberi anche noi, e soprattutto la madre da questa continua sofferenza».