C'è chi si fa un'ora e mezza di macchina per raggiungere il posto di lavoro, chi ha lasciato ai figli il pranzo pronto il giorno prima. «La festa dell'estate è un giorno uguale a tutti gli altri per chi fa questo mestiere», raccontano medici e infermieri del reparto Covid di Catanzaro
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Sveglia puntata alle 4.55 e poi giù in macchina per una settantina di chilometri percorrendo la strada statale 106 da Crotone in direzione Catanzaro, precisamente l'ospedale Pugliese, dove alle 7.15 in punto ci sono i colleghi della notte che attendono il cambio e c'è da prendere in carico le consegne. "Fortunatamente questa mattina non c'era molto traffico" ironizza Marco ancora un po' teso, dopo aver sottoposto ad Emogas un paziente contagiato dal coronavirus. "Serve per valutare i valori di ossigeno nel sangue" spiega Chiara anche lei fino a pochi minuti prima scafandrata, intenta ad operare all'interno di una delle tante stanze a pressione negativa che compongono il reparto Covid di Malattie Infettive.
Chi lavora, lo sa
Chi lavora in corsia, lo sa bene: "Noi siamo quelli che condizionano la famiglia; non ci siamo ai pranzi della domenica e nemmeno ai cenoni di Natale e Capodanno" precisa Paolo Scerbo, medico in forza all'unità operativa e nel giorno di Ferragosto diviso nella gestione di due reparti, della tenda pre-triage e in pronto soccorso per fornire consulenze specialistiche. "Per noi il giorno di Ferragosto è uguale a tutti gli altri" aggiunge con naturalezza, Filippo, infermiere. "Però siamo orgogliosi del nostro lavoro e cerchiamo di aiutare i malati, per quanto possibile, senza far troppo caso al calendario".
Tutto il mondo va in vacanza
La giornata è fortunatamente ventilata. La brezza fresca, nella mattina di Ferragosto, attraversa i corridoi dell'ospedale semideserti, come le strade cittadine, se non fosse per i camici che di tanto in tanto li attraversano. "Tutto il mondo va in vacanza ma i malati restano - aggiunge ancora Marco - e la nostra è una di quelle professioni che non può permettersi di fermarsi". Ma non chiamateli eroi: "No, non siamo eroi o forse eroi silenziosi" concede senza il barlume di un sorriso, Paolo Scerbo, ma con la consapevolezza scolpita sul volto di svolgere un lavoro più che essenziale, vitale. "E' un lavoro meticoloso e di responsabilità" e anche molto condizionato dagli umori, ci sarebbe da aggiungere. "A volte ci chiamano eroi ma non esitano poi a denunciarci per speculare sulle assicurazioni".
Scuola di vita
Specchio fedele della vita nelle sue mille e controverse sfaccettature, l'assistenza sanitaria è un distillato di umanità. Sul suo terreno si mostra la fragilità della condizione umana e proprio per questo capace di mettere a nudo la sua stessa essenza: sofferenza e speranza. "Ho lasciato i miei figli a casa questa mattina. Ieri sera ho cucinato per far trovare tutto pronto oggi che è, comunque, un giorno di festa. Anche loro sono condizionati da questo lavoro che certamente abbiamo scelto" spiega una infermiera. "In questi giorni di emergenza cerchiamo di svolgere anche turni in più rinunciando spesso al giorno libero. Ci viene pagato ma i nostri figli avrebbero preferito di gran lunga andare al mare".
Quarantena per passione
E c'è chi i figli non li ha visti pure per mesi, quando, nel pieno dell'emergenza si temeva persino di rientrare a casa la sera: "Sono stata reclutata, alla mia prima esperienza, il 10 marzo nel reparto di Malattie Infettive" racconta Vittoria, operatrice sociosanitaria. "Avevo paura e così ho deciso di lasciare i miei due figli, 10 e 6 anni, ai miei genitori. Non li ho visti per un mese e mezzo e loro sono rimasti senza genitori per tutto questo tempo".