Filippo Ceravolo oggi avrebbe compiuto ventisette anni. Vittima innocente della criminalità organizzata, il ragazzo di Soriano fu ucciso la sera del 25 ottobre del 2012.

Con la sua auto in panne e posteggiata dal meccanico, chiese un passaggio alla persona sbagliata, Domenico Tassone, giovane legato al clan Emanuele.

Un commando del clan Loielo entrò in azione nel territorio di Vazzano, ma crivellò a colpi di fucile il passeggero che nulla c’entrava con la faida che insanguinava le Preserre vibonesi. Il vero bersaglio, invece, rimase illeso.

«Sono otto anni che conduciamo una battaglia affinché mio figlio abbia giustizia – spiega il papà Martino, che quella sera aspettava il suo Filippo a casa per guardare la partita della Juventus in tv – finora però è stato tutto vano. Anzi, mi ritrovo ogni anno con un figlio che deve festeggiare il suo compleanno al cimitero».

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Un omicidio impunito, quello di Filippo Ceravolo. L’indagine della Dda di Catanzaro, che aveva individuato almeno due esponenti del clan Loielo coinvolti nell’agguato, è stata archiviata. Ma Martino e la sua famiglia continuano ad invocare giustizia.

«La famiglia – dice l’avvocato Giovanna Fronte, che assiste i cari di Filippo – ha sempre nutrito grande fiducia nell’operato della magistratura, del procuratore Gratteri e dei carabinieri, ma non possiamo non manifestare la nostra amarezza nel constatare che la svolta che auspicavamo su questo caso ancora non c’è stata. Ci sono nomi, cognomi, date. Ci sono – continua la nota penalista - elementi rilevanti. Ci chiediamo come sia possibile che siano state effettuate così tante ed importanti operazioni antimafia e ci si sia dimenticati di Filippo e di un omicidio sul quale la società civile calabrese e non solo continua ad invocare giustizia».

Chiede non ci si dimentichi di Filippo, l’avvocato Fronte. Lo chiede anche e soprattutto papà Martino. E spera che, oltre la magistratura, pure gli enti diano risposte concrete e dimostrino quell’attenzione che finora alla famiglia Ceravolo è stata espressa soltanto con le parole.

Commerciante ambulante, Martino è tra coloro i quali con grandi difficoltà si rialzeranno una volta superata l’emergenza coronavirus. È una vittima di mafia, come sua moglie, le sue figlie. Ha i titoli per entrare nei ranghi della Regione e degli enti locali. Un’attesa, la loro, che dura da anni.

«Abbiamo fatto le domande, ma ancora nessuna risposta. Né io, né mia moglie, né mia figlia. Eppure ci sono delle leggi che pongono le vittime di mafia in una graduatoria, addirittura, e per sfortuna dico io, privilegiata rispetto ai portatori di handicap. Mi domando – chiude Martino Ceravolo – perché neppure su questo fronte abbiamo risposte. Siamo davvero stanchi. Finora dalle istituzioni abbiamo avuto solo parole, ma noi – conclude – continueremo nella nostra battaglia, a tutti i livelli».