Percorriamo le strade assolate delle Preserre vibonesi, mentre il sole illumina la vegetazione circostante. Sono luoghi da decenni teatro di agguati e scomparse per lupare bianche impunite. Questa però è la storia di un omicidio che non è di mafia, anche se in un contesto permeato dalla mafia fino al midollo. Risaliamo la provinciale 71, siamo nella frazione Ariola, feudo di una delle società di ’ndrangheta tra le più feroci, quella di cui Antonio Altamura è considerato il capo e Bruno Emanuele, ergastolano dopo aver passato per le armi i rivali, il leader dell’ala militare.

Il percorso a piedi

La vittima è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco, caricata su un’auto, quindi il corpo condotto su un sentiero che a fatica si scorge dopo una curva. Il percorso è accidentato, ci conduce in uno spazio aperto dal quale si dipanano due vie. Ed è qui che gli assassini si sarebbero fermati con la loro auto. Da qui si prosegue a piedi. Risaliamo verso la boscaglia, circondati da una vegetazione quasi inaccessibile, nella quale si scorgono pochi varchi naturali, così come avrebbero fatto quegli uomini: due, forse tre, giovani, con forza e fiato. Ci sono decine di metri da percorrere in salita, tra la terra sconnessa, i rovi e le fronte degli alberi che a tratti sembrano mangrovie.

Nella boscaglia

Si apre un varco, ci sono rami tagliati. Forse gli assassini sono passati da qui. Entriamo e continuiamo a camminare e salire. È molto faticoso già per una persona soltanto, anche se vigorosa e ben allenata. Ci addentriamo sempre di più nella selva, domandandoci in quanti fossero a trasportare tra questa intricata macchia di alberi quel corpo senza vita.

Ed eccoci arrivati. C’è una grande buca delimitata da un nastro bianco e rosso. È lo spazio posto sotto sequestro dalla Procura e dalla Squadra mobile di Vibo Valentia che proprio qui, lo scorso 4 novembre, hanno recuperato i resti di quel corpo. La carcassa di una vecchia Fiat 500 divorata dalla ruggine, il cellophane che copre la buca dentro cui era il cadavere. Il cadavere che si presume appartenga ad Antonino Loielo.

Chi è Antonino Loielo?

Ma chi è Antonino Loielo? Cugino dei due boss trucidati da Bruno Emanuele e Tonino Forastefano nell’aprile del 2002, Giuseppe e Vincenzo Loielo, la sua scomparsa non fu mai denunciata. Una lupara bianca in piena regola, dunque, per ragioni che nulla c’entrano con i sempre precari equilibri ‘ndranghetistici lungo l’asse Soriano-Gerocarne. Non fu un allontanamento volontario il suo, nessuna fuga d’amore con una nuova fiamma: queste le voci fatte circolare in paese. Loielo, invece, sarebbe stato ucciso e fatto sparire.

Egli è il padre di Cristian, ergastolano per l’omicidio di Giuseppe Matina, consumato nel contesto della faida tra i Patania di Stefanaconi ed il clan dei Piscopisani. Ma è anche di Alex e Walter, scampati a più agguati e per questo coinvolti nella fase più recente della guerra di mafia per il dominio delle Preserre. Un matrimonio finito, una nuova compagna. Una situazione familiare complicata attenzionata anche dai servizi sociali. Sparito nel nulla senza che nessuno dei suoi familiari si fosse presentato alle forze dell’ordine per segnalarne l’anomala assenza.

In attesa della svolta?

Quel corpo è suo? Chi l’ha ucciso? Chi l’ha portato qui? Sarebbe mai stato scoperto senza le precise indicazioni di una gola profonda? Un mistero che potrebbe essere presto svelato, magari parallelamente ai retroscena della faida che dal 2012 ad oggi ha insanguinato questi luoghi impervi ma dalla struggente bellezza.