Chissà se qualche volta Manuele e Miriana (abbiamo deciso di usare nomi di fantasia) hanno sentito parlare di welfare. I due giovani catanzaresi, genitori di tre bambini, forse neppure sanno che lo Stato ci ha pure pensato a leggi per sostenere famiglie bisognose come la loro. Salvo poi lasciare questo ambizioso termine inglese, come tanti altri che sembrano riservati solo a chi almeno può comprenderli, nell’alveo delle buone intenzioni, in una sfera teorica molto distante dai bisogni pratici.

La storia

La perdita improvvisa di un genitore ha rischiato di far piombare nel buio della disperazione la famiglia. Lui, che si faceva aiutare proprio dal figlio in una piccola attività ambulante, di colpo non c’era più e su Manuele di colpo sono calate le tenebre. Già una volta il giovane aveva superato brillantemente - con l’aiuto di un centro di supporto locale - una scellerata dipendenza; poi si era legato a Miriana che lo aveva reso felice dandogli ben 3 maschietti, il primo oggi è un adolescente, gli altri due sono ancora in tenera età. Accade però che la vita d’un tratto ti volga le spalle e quelle certezze che credevi eterne traballino fino a far temere il cedimento.

Il buio

Accade anche ti sfiori la depressione e la debolezza ti faccia ripensare a quelle strane sostanze. Sono giorni, settimane, mesi di grande turbolenza. Il secondo figlio ha problemi di salute, i soldi non bastano. Miriana crede di potercela fare da sola. Ma un giorno cade da una scala e perde l’uso di un braccio. Deve comunque accudire i figli e la casa: i soldi non bastano. La proprietaria di casa bussa per gli affitti e le bollette vanno pagate. La spesa va fatta, così come le spese scolastiche. Rivolgersi ai parenti è troppo difficile, i tempi sono duri anche per loro. I bambini piangono. La crisi di nervi è dietro l’angolo. Una situazione che rasenta il baratro. Una come tante altre di cui il ‘welfare’ dovrebbe occuparsi. E poi carte, trafile, vergogna, burocrazia, tempi di attesa…

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Spiraglio di luce

È uno stillicidio, una vera ‘via crucis’ quotidiana. Poi lo spiraglio di luce: un ‘angelo’ consiglia di rivolgersi alla Caritas diocesana e Miriana, con grande imbarazzo ma anche tanta dignità, bussa alla porta. Don Pietro Pulitanò e la sua equipe la ascoltano con la sensibilità, il welfare senz’anima non abita qui. Si conviene di parlare direttamente con la proprietaria di casa. Qualche affitto viene pagato e così anche qualche rata di caparra non ancora onorata. La donna capisce che deve ancora e sempre confidare nelle proprie forze, e lo fa per il grande amore verso la sua famiglia. Il piccolo-grande aiuto della Caritas la rimette in moto, c’è una vita da affrontare, la sua, del compagno, soprattutto dei figli. Nel frattempo, mentre Manuele riprende piano piano a credere in sé senza artifici dannosi, Miriana trova qualche piccolo lavoretto – in nero ovviamente – per tappare altre esigenze. Le stazioni del loro ‘calvario’ non sono finite. Ma almeno si può continuare a combattere.

Il Welfare che non c’è

Sono centinaia ormai le famiglie catanzaresi a sopravvivere grazie ad aiuti esterni, non quelli di Stato o dei vari assessorati al Welfare. Gente che si aggrappa ai genitori pensionati, al dilagante sfruttamento lavorativo, al ‘nero’ imperante. È giusto che il Governo tuteli le fasce più ampie e specifiche della popolazione esposte alle varie crisi; ma è sacrosanto che ciascuno abbia il diritto di mantenere onestà e dignità sociale ed eviti il degrado e la povertà. Situazioni che poi in qualche caso degenerano nel ricorso all’usura ed alla manovalanza dello spaccio, due imbuti da cui è praticamente impossibile uscire come prima.

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