il boss di Cosa nostra depone ancora davanti al procuratore. Parla di Berlusconi, del suo debito e della sua innocenza riguardante le stragi
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«Avevo chiesto al mio compagno dell’ora d’aria, Umberto Adinolfi, di avvicinare persone vicine a Berlusconi per ricordargli il suo debito».
Il boss Giuseppe Graviano continua a parlare davanti al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel processo ‘Ndrangheta stragista e lo fa mandando messaggi su messaggi.
Con il pm che, però, lo incalza sempre di più, mettendolo alle corde. Dopo le dichiarazioni rilasciate nel corso della precedente udienza in cui ha spiegato delle relazioni d’affari fra la sua famiglia e quella di Silvio Berlusconi, Graviano prosegue: «C'erano soldi che mio nonno aveva consegnato a Silvio Berlusconi, all'inizio degli anni Settanta, si era stabilita la percentuale del 20 per cento da allora in poi». Questi soldi, secondo il boss non sarebbero tornati in Sicilia. «E io non volevo fare brutta figura con l’impegno di mio nonno verso quelle persone».
I “non ricordo” di Graviano. Il pm lo incalza
Sono diversi i “non ricordo” di Graviano che intende ascoltare nuovamente le intercettazioni che lo riguardano. Su alcune domande svicola, su altre si trincera dietro una memoria che non lo aiuta. Mentre il pm Lombardo lo incalza con domande sempre più ficcanti.
Graviano ribadisce un altro concetto: «Sono stato arrestato per un progetto voluto da più persone. E questo lo dimostra che ho ricevuto le visite dopo il mio arresto ogni giorno. Mi hanno detto la accuseremo di tutte le stragi d’Italia, la manderemo a Pianosa. Tuo fratello Filippo non uscirà».
Secondo Graviano non si cercava il colpevole, ma «un colpevole». «Non ho fatto le stragi, sono innocente, ho una dignità, non dico bugie».
Quanto alla condanna dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, a precisa domanda del pm, Graviano rimarca: «Perché l’hanno condannato? Perché Berlusconi ha tradito anche Dell’Utri con le leggi che sono state approvate. Le leggi che hanno danneggiato noi, hanno danneggiato anche Dell’Utri».
Per quanto concerne poi la famosa espressione «avevamo il Paese nelle mani», Graviano rimarca di non ricordare a cosa si riferisse, «forse ad un processo».
I messaggi all'esterno
Su sollecitazione del procuratore Lombardo, Graviano dice chiaramente: «Io non sono uno che manda messaggi». Ma la replica del pm è netta: «Ma come? Noi abbiamo analizzato una conversazione in cui lei manda messaggi attraverso Adinolfi. Lei sta chiedendo ad Adinolfi di mandare un messaggio, di rispettare i patti nei confronti di chi non aveva tenuto fede agli accordi». Il riferimento ovviamente è a Berlusconi e a quei soldi dati dal nonno di Graviano.
«Lei da Berlusconi si aspettava vantaggi diversi», ribatte però Lonbardo incalzando fortemente il boss. E quando Graviano continua sulla sua linea, il pm sbotta: «Non può reggere questa tesi».
In verità, Graviano rimarca di voler parlare anche di altri argomenti «quando mi interrogherete in altre occasioni». E la sensazione è che forse più di qualche messaggio, il boss di Cosa Nostra lo stia mandando eccome.