«Presidente, se lei vuole sapere qualcosa di più preciso su Pennino, mi posso informare. Un mio parente lo ha incontrato a Roma». A parlare non è un imputato a piede libero, ma uno dei boss più sanguinari di Cosa Nostra, Giuseppe Graviano, recluso nel carcere di Terni in regine di 41 bis, ma evidentemente in grado di poter comunicare con l’esterno tanto da informarsi su dove si trovi un ex collaboratore di giustizia che il sistema centrale di protezione non è ancora riuscito ad individuare. La singolare circostanza è emersa nella mattinata di oggi al processo ‘Ndrangheta stragista che vede sul banco degli imputati lo stesso Graviano e Rocco Santo Filippone con l’accusa di essere i mandanti dell’omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo nell’ambito della strategia stragista di Cosa nostra.

Nessuna traccia dei tre

In apertura d’udienza, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, ha rimarcato come nessuno dei tre testimoni citati fosse reperibile. Si tratta di Vincenzo Grimaldi, ritenuto vicino alle cosche Piromalli e Molè, Leonardo Messina, ex uomo d’onore siciliano e Gioacchino Pennino, massone ed esponente di spicco di Cosa nostra. «Nessuno pare sia rintracciabile dal servizio centrale di protezione», ha spiegato il magistrato, tranne che per Grimaldi: «Ci hanno detto che è in Senegal». 

L’intervento surreale di Graviano

Proprio quando sembrava che nessuno sapesse nulla degli altri testimoni, il boss Graviano ha chiesto la parola da Terni. Le sue dichiarazioni sono surreali: «Buongiorno, il signor Pennino ha incontrato quest’anno un mio familiare, un mio parente a Roma. L’ha chiamato lui, è stato Pennino a farsi notare. Gli ha detto: “Ciao come stai, se hai bisogno di qualcosa io sono disponibile”. Quindi io so che era a Roma fino a qualche mese fa. Poi un’altra persona lo ha incontrato, sempre a Roma, mentre io ero recluso ad Ascoli Piceno, tra il 2014 e il 2017. Pennino ha fatto allontanare la persona che era con lui, dicendo all’altro che era il poliziotto che lo seguiva». Graviano è andato oltre: «A me interessa sentire Pennino per smentire Spatuzza e Drago e anche quello che nell’ordinanza è stato scritto su Pennino». Ed è a questo punto che le parole del boss sono diventate surreali a tal punto di richiedere l’intervento del presidente della Corte d’Assise: «Se lei vuole sapere qualcosa di più preciso, io mi posso informare», ha rimarcato Graviano come fosse un libero cittadino. Il presidente Ornella Pastore, allora, ha replicato un po’ sorpresa: «Ma lei non è al 41 bis? Lei s’informa? Se mi vuole far sapere qualche cose mi scrive una lettera».

Ma Graviano non si è fatto per nulla intimorire: «Io voglio fare emergere la verità, non penso che il 41 bis impedisca questo, ma di fare qualcosa di illecito, di trasmettere notizie illecite fuori». Il presidente allora ha incassato la “disponibilità” dell’imputato, regolando la cosa con una frase generica: «Se lei riesce ad avere notizie aggiornate…». Graviano ha concluso: «Sono sottoposto da 26 anni al 41 bis. Io posso saperlo, poi decida lei».

 

Resta ovviamente da capire attraverso chi e come, un imputato del calibro di Graviano possa avere accesso a tali informazioni, o come siano stati possibili i fatti narrati dal boss. Di più: è vero che Gioacchino Pennino si è messo a disposizione di familiari dell’imputato? Tutti interrogativi che la Dda dovrà valutare attentamente dopo le parole del boss di Cosa nostra.