Lo spirito inquieto, un pentito ribelle. Luigi Bonaventura è questo, prendere o lasciare. Lo Stato della magistratura antimafia ha attinto a piene mani dal suo enorme bagaglio di conoscenze per blindare indagini  sfociate in ergastoli, secoli di carcere, nel definitivo riconoscimento giudiziario di clan di ’ndrangheta la cui esistenza, nelle aule di giustizia, mai prima era stata dichiarata. Lo Stato chiamato invece a tutelare i dichiaranti, collaboratori o testimoni che siano, invece ci ha fatto a botte: restio, Gigi, erede per sangue del casato crotonese dei Vrenna-Bonaventura, a tenere la bocca chiusa, dentro ma anche fuori i tribunali, le Procure e gli uffici di polizia giudiziaria, concedendosi così a taccuini, microfoni e telecamere per raccontare la sua storia, ma anche per spiegare il suo impegno «nell’antimafia sociale», tra i ragazzi, tra la gente, e per denunciare i limiti del sistema di protezione nei confronti di chi decide di infrangere il muro dell’omertà e dei cari che scelgono di affrancarsi dalla cultura e dalle logiche del crimine organizzato. «Noi collaboratori – dice, fuoriuscito ormai da sei anni dal programma di protezione – siamo come soldati al fronte. Non c’è protezione, non c’è tutela, per noi e per le nostre famiglie. È un grande inganno».

Le radici

Classe 1971, l’odore acre della polvere da sparo, del sangue e della paura, lo conobbe dalla prima infanzia. «Ero un bambino soldato», ricorda. Suo nonno, soprattutto, era un pezzo da novanta, uno della vecchia guardia, quella di zi’ ’Ntoni Macrì, di Mico Tripodo e Paolino De Stefano. Divenne, quasi per dovere di nascita, uno ’ndranghetista. Siamo tra il 2005 ed il 2007 quando intraprese un percorso di collaborazione con la giustizia che fu devastante: fu il capofila del nuovo pentitismo nel Crotonese. «Ma la mia esperienza – spiega – credo abbiamo influito sulla scelta di molti altri collaboratori. Se potevo farlo io, che avevo quei legami di sangue, potevano farlo molti altri, che certi legami non li avevano né li hanno».

La svolta

Il profluvio del nuovo pentitismo calabrese, probabilmente, ebbe inizio proprio a Crotone, poi ci fu Lamezia Terme, ora Vibo Valentia. È un collaboratore, Luigi Bonaventura, malgrado da ben sei anni non sia più sotto protezione. Lo è perché gli inquirenti verbalizzano ancora le sue dichiarazioni. Lo è perché viene ancora chiamato a deporre nei Tribunali. Lo è perché tale lo considera anche la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che lo ha inserito nella sfilza dei pentiti che deporranno al maxiprocesso Rinascita Scott. Ne sono accadute, di cose, in questi ultimi anni. Ha scontato il carcere: prima a Paliano, poi a Campobasso, infine a Pescara. Poi la libertà, il girovagare, quasi da nomade, per giorni, nella ricerca di un pasto e di un tetto, in una lunga odissea che l’avrebbe riportato dalla sua famiglia, rimasta invece in una località protetta. Da sua moglie soprattutto, che racconta essere una donna straordinaria e della quale parla con un amore viscerale, determinante nella sua scelta di ribellarsi contro il crimine organizzato.

I suoi cari

La sua famiglia, oggi, è sotto protezione. E la sua famiglia è ciò che intende proteggere dai limiti del programma stesso. La storia di suo figlio – un ragazzo capace, caparbio e desideroso di costruirsi una vita, a cui di fatto sarebbe stato impedito di proseguire negli studi – finì sui giornali nazionali. Vorrebbe, per lui, un futuro diverso. «È per questo – spiega Bonaventura – che combatto». Denuncia l’impossibilità di assistere adeguatamente suo cognato, colpito improvvisamente da una invalidità totale. Denuncia la condizione di collaboratori e testimoni, che avrebbero bisogno – evidenzia – di una nuova identità, di guadagnarsi da vivere attraverso un lavoro stabile, e di ricominciare, in Italia, ma anche all’estero. E ciò sarebbe possibile solo grazie a convenzioni internazionali che assicurino questa prospettiva. In questa direzione opera l’associazione che Luigi Bonaventura ha tenuto a battesimo assieme alla moglie: Sostenitori dei collaboratori e testimoni di giustizia (https://www.facebook.com/Comitatodiritticdg).

La video-intervista

Noi abbiamo video-intervistato l’ex bambino soldato della ’ndrangheta crotonese. Parla della sua storia, del suo impegno civile che non si piega né si rassegna davanti ai limiti dello Stato, della sua fiducia verso la magistratura e nel nuovo corso iniziato dal procuratore Nicola Gratteri. Si sofferma sui collaboratori chiave di Rinascita Scott, da Andrea Mantella ad Emanuele Mancuso. Spiega come e perché, collaborando, un’altra vita sia possibile, nonostante tutto. È una intervista, lunga ed intensa, che vi proponiamo in versione integrale.