VIDEO | Il pentito del clan dei Basilischi svela le confidenze ricevute da Emanuele Mancuso. Il depistaggio, le pressioni per i terreni e l’omicidio dell’imprenditrice di Laureana
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Una nuova sconvolgente versione sulla fine di Maria Chindamo, l’imprenditrice di Laureana di Borrello rapita e fatta sparire alle 7.15 del 6 maggio 2016 dinanzi alla sua tenuta agricola di località “Montalto” di Limbadi. Emerge da alcuni verbali del collaboratore di giustizia Antonio Cossidente, 55 anni, di Potenza, con un passato nel clan dei Basilischi. Detenuto nello stesso carcere e nella stessa cella di Emanuele Mancuso - il rampollo del clan Mancuso che dal giugno del 2018 ha deciso di saltare il “fosso” e collaborare con la giustizia - Antonio Cossidente avrebbe preso sotto la propria “ala protettiva” il figlio del boss Pantaleone Mancuso, alias “l’Ingegnere”. Nel carcere dove sono detenuti esclusivamente collaboratori di giustizia, fra i due sarebbe nata una simpatia ed un legame molto forte.
In uno dei verbali depositati dalla Dda di Catanzaro nell’inchiesta che ha portato al rinvio a giudizio dei familiari di Emanuele Mancuso per le pressioni e le minacce esercitate sul 31enne al fine di farlo recedere dal collaborare con la giustizia, Antonio Cossidente spiega di aver conosciuto Emanuele Mancuso nel febbraio 2019 in occasione di un’udienza in videoconferenza e di un viaggio effettuato con lo stesso furgone blindato. Una volta trasferiti nello stesso carcere ed una volta liberata la cella in precedenza occupata da altri due collaboratori – uno dei quali (per come riferisce Cossidente) era Raffaele Moscato, killer ed elemento di spicco del clan dei Piscopisani – Cossidente ed Emanuele Mancuso hanno condiviso un periodo di comune detenzione. “Per me Emanuele Mancuso ero diventato come un figlio – si legge nei verbali discoverati di Cossidente – perché anche mio figlio è dell’89 ed ha quasi la sua stessa età: Emanuele era come mio figlio che non potevo vedere per via della mia decisione di collaborare con la giustizia”.
I verbali di Antonio Cossidente permettono quindi di gettare nuova luce anche sul delitto di Maria Chindamo, secondo le confidenze che avrebbe ricevuto proprio da Emanuele Mancuso conosciute sinora solo in parte poiché depositate agli atti dell’inchiesta Rinascita-Scott. “Emanuele Mancuso – fa mettere a verbale Cossidente – mi disse che era scomparsa una donna a Limbadi: un’imprenditrice di Laureana di Borrello, la Chindamo. Mi disse che lui era amico di un grosso trafficante di cocaina, detto Pinnolaro, legato alla famiglia Mancuso da vincoli storici e mi disse che per la scomparsa della donna, avvenuta qualche anno fa, c’era di mezzo questo Pinnolaro che voleva acquistare i terreni della donna in quanto erano confinanti con le terre di sua proprietà. Pinnolaro – continua il collaboratore Cossidente – aveva pure degli animali, credo che facesse il pastore e questa donna si era rifiutata di cedere le proprietà a questa persona”.
Pinnolaro è il soprannome di Salvatore Ascone, il 53enne di Limbadi arrestato nel luglio 2019 con l’accusa (mossa dalla Procura di Vibo) di concorso nell’omicidio di Maria Chindamo ma scarcerato dal Tribunale del Riesame di Catanzaro. In particolare, Salvatore Ascone era accusato di aver manomesso le telecamere di videosorveglianza della sua abitazione per evitare che riprendessero l’aggressione e il sequestro di Maria Chindamo, avvenuti proprio di fronte la sua proprietà sita in contrada Carini di località Montalto di Limbadi. Per il Riesame, però, non vi sarebbero elementi certi capaci di provare l’avvenuta manomissione delle telecamere.
“Emanuele Mancuso – continua il verbale di Cossidente – mi disse anche che in virtù di questo rifiuto della Chindamo a cedere le proprietà, Pinnolaro l’ha fatta scomparire, ben sapendo che, se le fosse successo qualcosa la responsabilità sarebbe ricaduta sulla famiglia del marito della donna, poiché il marito o l’ex marito dopo che si erano lasciati si era suicidato. Quindi questo Pinnolaro – spiega Cossidente riportando le confidenze ricevute da Emanuele Mancuso – sapendo delle vicende familiari della donna, sarebbe stato lui l’artefice della vicenda per entrare in possesso dei terreni e poi far ricadere la responsabilità sulla famiglia del marito in modo da entrare in possesso di quei terreni”. Agghiacciante il finale del racconto di Antonio Cossidente che svela le confidenze di Emanuele Mancuso: “Emanuele mi disse che la donna venne fatta macinare con un trattore o data in pasto ai maiali”.
Tale verbale di Antonio Cossidente porta la data del 7 febbraio 2020 e coincide con altro verbale rilasciato da Emanuele Mancuso il 18 giugno 2018 e sinora conosciuto solo in parte: “Ascone aveva interesse ad acquisire i terreni di proprietà dei vicini e, per timori circa possibili misure di prevenzione nei suoi confronti, era solito pagarli prima in contanti, per evitare la tracciabilità dei pagamenti, lasciarli formalmente intestati agli originari proprietari, per acquisirli successivamente attraverso l’usucapione. Per quanto a mia conoscenza – ha dichiarato Emanuele Mancuso – i proprietari dei terreni erano consenzienti. Ascone portava le pecore dove voleva lui e so che per questa ragione ha anche litigato con la figlia di mia zia Rosaria Mancuso, ossia mia cugina Rosa”, ovvero la figlia di Rosaria Mancuso, sorella di Pantaleone Mancuso, alias “l’Ingegnere”, attualmente sotto processo per l’autobomba di Limbadi costata la vita al biologo Matteo Vinci.
Maria Chindamo, dunque, è morta per non aver ceduto alle pressioni di abbandonare le proprie proprietà di Limbadi ad Ascone e chi ha agito ha anche pensato a come depistare gli inquirenti? Oppure siamo in presenza di un movente convergente – vendetta in ambito familiare per il suicidio dell’ex marito e punizione per non aver ceduto i propri terreni – maturato sull’asse Limbadi-Rosarno? Vero è che il caso, dopo la decisione del Tribunale del Riesame di scarcerare Salvatore Ascone nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Vibo Valentia, è passato alla Dda di Catanzaro perché l’ipotesi a cui lavora il pool di Nicola Gratteri è che nella scomparsa di Maria Chindamo, sullo sfondo o in primo piano, c’entra comunque la ’ndrangheta.