Le nuove intercettazioni agli atti di Rinascita Scott svelano particolari inediti e clamorosi sugli affari della ‘ndrangheta nel traffico di beni archeologici. E chi ha scavato è stato nelle viscere della città, intercettato, dice che il sottosuolo di Vibo è come il mare di Riace. «Pochi cocci di un vaso, ottantamila euro…»
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
A Vibo Valentia i piedi poggiano su un tesoro inestimabile. La malavita ci scava dagli anni ’90. Laggiù, nelle viscere dell’antica Hipponion- racconta, intercettato, chi c’è stato - esistono statue in bronzo che valgono «dieci milioni di euro».
È questa, racconta, la loro quotazione sul mercato illegale. Fossero patrimonio collettivo, quindi strappate al traffico clandestino di reperti archeologici, il loro valore sarebbe inestimabile. Esattamente come i Bronzi di Riace.
Ma per diventare «miliardari» basta poco:con qualche «coccio» di un vaso antico si arrivano a fare fino a «ottantamila euro». Ci fu “Scrimbia” e ci fu “Purgatorio”, le due indagini dei carabinieri che avevano svelato come e quanto la ’ndrangheta puntasse sul mercato nero dei reperti archeologici, ma alcune intercettazioni agli atti dell’indagine “Rinascita Scott”, molto più recenti, svelano la reale imponenza del tesoro della Magna Grecia, che solo in minima parte, finora, la mala è riuscita a tirare fuori.
È il 27 gennaio del 2018, interloquiscono due indagati, uno è Domenico Macrì, per tutti “Mommo”: è uno degli emergenti, a Vibo Valentia, ex mantelliano, spavaldo e dal grilletto facile, un tipo pericoloso deciso a scalare le gerarchie del crimine.
L’altro è Rosario Pardea, che era già stato implicato in una vecchia indagine su un traffico di beni archeologici, dalla quale è uscito indenne. Entrambi fanno parte del clan dei Ranisi. I carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo Valentia ascoltano e il maggiore Valerio Palmieri inserisce questa conversazione nell’informativa che completa l’indagine “Rinascita Scott”, depositata contestualmente alla chiusura della maxi inchiesta.
Pardea spiega cose che neppure in “Purgatorio” - il processo in cui era imputato e da cui è uscito per l’intervenuta prescrizione dei reati contestati - sono emerse. Spiega che lui nel ventre di Vibo Valentia ha scavato per «ben sette anni». Hanno recuperato delle mappe ed hanno iniziato a scavare da un appartamento, «riuscendo – sintetizza il maggiore Palmieri – a oltrepassare il garage sottostante e a scendere sotto il livello della strada, per poi realizzare una galleria lunga oltre settanta metri». Pardea – ascoltato dai carabinieri – ammette di averla scampata bella quanto scattò il blitz del Nucleo di tutela del patrimonio archeologico perché s’era preso «tre giorni di ferie» e quel giorno non era sceso nel tunnel. E spiega pure cose che finora forse la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro non sa. Per esempio che una vecchia casetta, «trascurata» nel giorno di un sopralluogo dei carabinieri in una campagna, nasconderebbe prove importanti dei loro scavi. Per esempio che i carabinieri erano arrivati a percorrere solo i primi venti metri della galleria, ovvero poco meno di un terzo della lunghezza del tunnel scavato: «Ci sono – dice Pardea a Macrì – sessantacinque metri di galleria a un metro e cinquanta, così… Non sono potuti arrivare fino a lì sotto, sono arrivati fin dove c’era la pompa… Basta, dopo la pompa ci sono altri trenta metri di galleria dall’entrata alla pompa».
Si parla di mappe, di opere di ingegneria, di conoscenze storiche. Non siamo davanti a piccoli tombaroli, è qualcosa di decisamente più elevato. Che consentirebbe di fare un sacco di soldi: «La mattina ci dovevamo alzare alle cinque, mi ero alzato alle cinque bello tranquillo, ho detto adesso mi faccio tre giorni di ferie bello…Poi mi faccio un Natale che nonfinisce mai, le bottiglie di champagne le spacco al muro, lo sai quanto veniva un coccio cosi?! Ah, che saitu! Settantamila-ottantamila euro, lo sai quanto costava a centimetro? Quattromilacinquecento euro a centimetro!». L’ultima volta è andata male però: «È andata male che è andata male… Altrimenti ero miliardario io».
Mommo Macrì si dimostra interessato così non più solo alle armi, ma anche agli affari che si possono fare con il traffico degli antichi tesori: «Ma cosa c’è lì sotto si sa? Quello che c’è?». Pardea: «Ci sono tutte le statue di bronzo. C’è una statua che vale dieci milioni di euro… Ah, ah…».