«Veniamo invitati a investire soldi nell’edilizia, che andava forte. A mio nonno avevano chiesto venti miliardi, e di tutto quello che si faceva, il 20% era di mio nonno, cioè di chi era che portava questi soldi. Il contatto era con Silvio Berlusconi». È il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano a raccontare al Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo come Cosa Nostra siciliana avrebbe finanziato l’impero nascente del biscione. Durante un interrogatorio nell’ambito del processo ‘ndrangheta stragista – che vede alla sbarra il boss palermitano e il calabrese Rocco Santo Filippone per la strage dei carabinieri Fava e Garofalo – Graviano torna indietro nel tempo, raccontando la sua versione su come si concretizzò l’affare.

Racconta, in pratica, Giuseppe Graviano che fu il nonno materno, Filippo Quartararo, a raccogliere il presunto invito di Silvio Berlusconi, affinché alcuni facoltosi siciliani investissero nel mattone a Milano. Il nonno di Graviano raccolse venti miliardi e voleva, una volta avanti con l’età, che il nipote Giuseppe portasse avanti quel progetto imprenditoriale dopo la sua morte. Un progetto che, dopo l’investimento iniziale, doveva essere formalizzato: insomma, i siciliani, dovevano entrare in maniera palese e non occulta, nelle società di Berlusconi. Siamo all’inizio del 1980, la Sicilia era ormai in mano ai Corleonesi. Graviano, inseguito dal mandato di cattura del maxiprocesso, è latitante dal 1984. Ma ciò, a suo dire, non gli avrebbe impedito di incontrare il futuro Premier.

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Giuseppe Graviano

«L’investimento venne fatto, mio nonno si rivolse a mio padre – risponde Graviano – e mio padre rispose “io non faccio queste cose, perché a me piace nelle cose partecipare”. Quando muore mio papà, mio nonno a noi dice la verità, dice “c’è questa situazione”. Dice “tuo padre non vuole che avete a che fare con queste persone, però io non ho altre persone a cui rivolgermi e con i tuoi fratelli non parlo”». L’affare è grosso e Graviano non se lo vuole lasciare scappare. È lui a prendere in mano la situazione quando muore suo padre. «Io e mio cugino Salvo – racconta – abbiamo deciso di sì, e siamo partiti per Milano. Mio nonno era seguito dall’avvocato Canzonieri di Palermo e loro avevano una carta scritta con tutti i nomi di Alfano Carlo, Antonio La Corte… tutti: era una carta privata. Ho incontrato la prima volta Berlusconi all’hotel Quark. C’erano anche mio cugino Salvatore e mio nonno Filippo Quartararo che ci ha presentato. Berlusconi quel giorno era solo». 

Dichiarazioni che si incrociano con l’inchiesta della distrettuale antimafia di Firenze che, scrive Repubblica, avrebbe acquisito una consulenza tecnica che farebbe emergere «innesti finanziari” ancora opachi “nelle società che hanno dato vita al gruppo Finivest».

Nel racconto del boss di Brancaccio emergerebbero poi nuovi incontri con il leader di Forza Italia: «Io e mio cugino abbiamo preso il posto di mio nonno. Lui in particolare perché io ero latitante. Nel ’93 c’è una nuova riunione a Milano e mio cugino Salvo mi ha detto “vieni anche tu all’appuntamento perché finalmente siamo arrivati a conclusione e si regolarizza questa situazione”. E ci siamo incontrati io mio cugino e Berlusconi». In agenda poi ci sarebbe stato un nuovo incontro da formalizzare con Berlusconi nel febbraio del ’94 «per formalizzare l’ingresso di quei soggetti nelle società immobiliari di Berlusconi».