A colloquio con la Dda di Catanzaro Dante Mannolo, figlio del boss Alfonso, parla anche delle 420mila euro che suo padre avrebbe affidato «a persone di fiducia». Le estorsioni su appalti pubblici e privati. Il contabile che divide i soldi della bacinella: «La metà andava ai Grande Aracri». Storia di un prestito da 200mila euro per costruire un villaggio a Crotone
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
La ‘ndrangheta, raccontano sovente gli investigatori, è dotata di enormi capitali, molto spesso liquidi, frutto di estorsioni, grossi traffici di droga, investimenti poco trasparenti. Uno spaccato di questo quadro lo racconta, in appena dieci pagine di verbale, Dante Mannolo, 58 anni, collaboratore di giustizia, figlio del boss di San Leonardo di Cutro, l’ottuagenario Alfonso Mannolo.
Il pentito, l’11 settembre 2019, ha parlato davanti all’allora procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, oggi a capo della Procura di Napoli, e al sostituto Paolo Sirleo. Molto di quello che raccontò quel giorno è stato omissato: nomi di persone, di imprese, parentele. Ciò che si può, oggi, raccontare si trova nei nutriti fascicoli dell’inchiesta Glicine.
Cinquanta milioni in banconote da 500
«A proposito di cambio di denaro – racconta Mannolo –, ricordo di avere fatto un viaggio a Milano con mio padre. C’era il problema, una persona che aveva 50 milioni di euro in banconote da 500 euro. Era presente, oltre a questa persona, Andrea di Porto S. Elpidio e un terzo. Non ricordo il nome del proprietario di questo denaro ma era un pezzo grosso. Penso che sia dentro la massoneria. Andrea l’ho conosciuto tramite tale Gianfranco di Marcellinara che ha un capannone vicino alla ditta Abramo».
Il sistema | “Glicine Acheronte”, la Dda di Catanzaro chiude l’inchiesta. Tra gli indagati anche Adamo, Oliverio e Sculco - NOMI
Dante Mannolo afferma di non avere mai conosciuto la collaboratrice di giustizia Anna Maria Cerminara, ex compagna di Giovanni Passalacqua, ritenuto esponente di vertice del clan degli zingari di Catanzaro. Anche se ammette che le dichiarazioni della donna «in ordine alla nostra esigenza di cambiare le banconote dal 500 euro sono risultate fondate». Allo stesso tempo Mannolo contesta le dichiarazioni di un altro collaboratore vicino alla cosca degli zingari, Santino Mirarchi, «che non conosco», in merito alla riconducibilità «alla mia persona della filiale Unicredit di Catanzaro Lido».
Liti in famiglia per il denaro
Mannolo racconta anche che il totale delle somme di denaro detenute dal padre corrisponde a 420mila euro. Il boss avrebbe fatto conservare queste somme da persone di sua fiducia che il collaboratore ammette di non conoscere anche se non esclude che la madre e la sorella ne sappiano qualcosa. In effetti il denaro, racconta Mannolo, era fonte di litigi in famiglia.
Le estorsioni ai cantieri nella bacinella di Cutro
La cosca si nutre anche delle estorsioni a cantieri pubblici e privati. Dante Mannolo, per esempio, ricorda che pagò la mazzetta la ditta che qualche anno fa si aggiudicò l’appalto per il rifacimento del manto stradale di San Leonardo. Stessa cosa per la ditta che vinse l’appalto per la raccolta dei rifiuti e anche l’impresa che gestiva i lavori sulla statale 106 all’altezza di steccato di Cutro, di proprietà di un «amico di vecchia data» di Alfonso Mannolo, pagò la mazzetta. I soldi finivano nella bacinella della consorteria e il contabile divideva i proventi tra le famiglie di Cutro e San Leonardo «secondo criteri proporzionali». La metà del denaro andava ai Grande Aracri. I soldi di questa cassa comune, racconta Mannolo, servivano anche per mantenere i detenuti e per finanziare, attraverso regali, i rapporti tra le varie famiglie di ‘ndrangheta. Il collaboratore ricorda il sostegno ai Trapasso dopo l’operazione Borderland e anche al suo cugino omonimo Dante Mannolo dopo la rapina da otto milioni di euro al caveau della Sicurtransport. Quello che il pentito ricorda è che vi fu un errore dovuto all’omonimia e lui ricevette l’avviso di fissazione del riesame che interessava il cugino. Qui il racconto si interrompe, imbiancato dagli omissis.
Ciò che non finiva nella bacinella erano le estorsioni ai villaggi e ai commercianti e i proventi del traffico di droga. «… ciascuna famiglia gestiva entrate e uscite legate alle suddette attività per conto proprio».
Glicine Acheronte | «Mi ha detto che mi avrebbero arrestato». Quando le confidenze tra manager terrorizzavano la Cittadella regionale
Un terreno a Rovigo per pagare un debito da 200mila euro
Un soggetto (il cui nome è stato omissato) chiese ad Alfonso Mannolo, circa cinque anni fa, dice il collaboratore, un prestito di 200mila euro «per la realizzazione di un complesso edilizio a Crotone».
«Mio padre diede questo denaro e a garanzia … emise assegni a sé intestati per un imposto di 233mila euro».
Dopo aver chiesto indietro gli assegni con la scusa di versarli per monetizzare le somme, il soggetto sparisce. Si dice fosse andato in Portogallo, racconta Mannolo.
«Qualche tempo dopo si fece vivo dicendo di stare in Veneto. Ci invitò a Soave perché potessimo discutere per comporre finalmente la vicenda». Nonostante un parente che avrebbe dovuto fare da garante i Mannolo in tre anni recuperarono 130mila euro. «Non riuscì a pagare altra somma perché non ne disponeva e ci offri un terreno a Rovigo» che i Mannolo intestarono a un testa di legno.