Il riserbo degli inquirenti sull’identità dei resti rinvenuti ieri tra i boschi di Gerocarne. L’ultimo fantasma delle Preserre è il 53enne ferito gravemente (mentre era con la compagna incinta) il 22 ottobre 2015, due settimane dopo un altro attentato ai suoi congiunti. Poi sparì
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Macellai. Hanno compiuto crimini tremendi, molti dei quali rimasti impuniti. Eppure i collaboratori di giustizia raccontano, da testimoni diretti, cose raccapriccianti all’autorità giudiziaria: gente rapita, torturata, a volte seppellita viva. Mancando i corpi delle vittime - lasciati marcire dove nessuno potrà trovarli, sotto terra, come ennesimo segno di sadico sfregio - viene però meno la prova principale dell’omicidio. E anche quando finiscono a giudizio, quasi sempre la fanno franca. La storia giudiziaria lo prova.
Il cimitero della lupara bianca
Così, quando si pensa ad Ariola, la frazione di Gerocarne, cuore di un lussureggiante vivaio e cimitero della lupara bianca nelle Preserre vibonesi, il pensiero corre presto alla faida di ‘ndrangheta che si trascina da più di trent’anni. Troppo recenti, però, i resti recuperati ieri dalla Squadra mobile di Vibo Valentia, in quel bosco impervio, per appartenere ad una delle vittime di quella scia di sangue. Antonio Donato scomparve il 29 marzo 1989, eliminato, dicono i collaboratori, dal clan Loielo: più di trent’anni sotto terra, troppo. Nell’estate del 1990 scomparve invece Rocco Maiolo (fratello di Antonio, scomparso nel 1998, unica vittima della lupara bianca dell’Ariola i cui resti furono ritrovati nel 2009 grazie al collaboratore di giustizia Enzo Taverniti), contestualmente ad Angelo Fatiga: è molto probabile che siano stati seppelliti insieme e poi, anche in questo caso, sono trascorsi più di trent’anni. Più di ventisette invece, gli anni dalla sparizione di Placido Scarmozzino, 28 settembre 1993.
Il corpo ritrovato e la faida
Gli inquirenti, però, pare abbiano ben chiaro il quadro. Certo, ci sono le indagini medico legali da effettuare e serve il riscontro genetico, ma l’identità della vittima, alla Procura guidata da Camillo Falvo e alla Squadra mobile diretta da Fabio Di Lella, sarebbe già nota. E benché non vi siano conferme, ma neppure smentite, è plausibile che vi sia stata un’indicazione precisa da parte di qualcuno che ha condotto i poliziotti sotto la carcassa di una vecchia Fiat 500 rossa, abbandonata in un luogo sperduto. Il procuratore Falvo, pur mantenendo il riserbo, su un punto si sbilancia: «Potrebbe non essere una vittima della faida». Cioè di quella guerra di mafia per il dominio delle Preserre che, appunto, si trascina dagli anni ’90 e che ha vissuto tre fasi: nella prima i Loielo di Soriano decapitarono i Maiolo di Acquaro, nella seconda gli Emanuele di Gerocarne decapitarono i Loielo; nella terza, che arriva fino ai giorni nostri, ha visto gli eredi dei Loielo provare a scalzare gli Emanuele.
La scomparsa di Antonino Loielo
In questo ambito furono inquadrati (ma solo inizialmente) anche gli agguati subiti da Antonino Loielo, classe 1967, assieme ad alcuni suoi congiunti, il 22 ottobre e il 5 novembre del 2015. Nel primo rimase ferito seriamente alla testa, ma sopravvisse: al momento dell’attentato era assieme alla giovane compagna Sofia Alessandra, al sesto mese di gravidanza, e al figlio Alex. Nel secondo agguato, invece, fu ferito gravemente l’altro figlio, Walter, che si trovava a bordo di una Fiat 500, assieme ai cugini Valerio e Rinaldo. Pochi mesi dopo, nel 2016, Antonino Loielo - a sua volta primo cugino dei boss Vincenzo e Giuseppe, uccisi nel 2002 da Gaetano Emanuele e Tonino Forastefano - sparì, ma gli stessi familiari mai ne hanno formalmente denunciato la scomparsa. Allontanamento volontario o lupara bianca? E se fosse lupara bianca, sarebbe davvero correlata alla faida o sarebbe invece maturata in un ben diverso contesto, magari legato ad alcune vicende passionali o turbulenze familiari? Altro dettaglio rilevante, Antonino Loielo è anche il padre di Cristian, già detenuto per l'omicidio di Giuseppe Canale, consumato a Reggio Calabria, e per i delitti della faida tra i Patania di Stefanaconi e il clan dei Piscopisani contestati nel processo Gringia.
Contesto parallelo alla faida
Domande e congetture, finché gli inquirenti non scioglieranno dubbi e riserve circa l’identità dei resti umani rinvenuti ad Ariola. Illuminanti, benché ermetici, alcuni passaggi delle dichiarazioni alla stampa rese dal procuratore Falvo: «Pensiamo che la scomparsa risalga a qualche anno fa, non troppi anni fa…». E poi: «Non pensiamo sia riconducibile alla faida, sempre quello è il contesto. Siamo in una zona nella quale purtroppo di omicidi ce ne sono stati tanti, però abbiamo motivo di credere che non sia maturato proprio nel contesto della faida».