Viaggio de “La Stampa” nel sistema giudiziario di una delle province a più alta densità mafiosa, in cui arrivano perlopiù magistrati di prima nomina. Il capo della Procura Falvo: «Siamo in un posto di frontiera, capisco che nessuno voglia venire» (ASCOLTA L'AUDIO)
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La regione con i più alti tassi di criminalità mafiosa e la più bassa età media dei magistrati: è la fotografia scattata dal quotidiano La Stampa che ha dedicato un reportage ai “giudici ragazzini” in servizio a Vibo Valentia. Una delle province a più alta densità mafiosa, con "almeno venti cosche su 120mila abitanti", che spesso e volentieri vede nelle sue aule di tribunale "magistrati di prima nomina". Giovanissimi che si trovano ad "affrontare maxiprocessi contro la ‘ndrangheta senza aver mai scritto una sentenza prima", scrive il quotidiano torinese.
Tanto impegno, giornate intere passate in ufficio e i weekend spesi a scrivere sentenze - riferiscono all'autore dell'articolo, Giuseppe Salvaggiulo. Della vita “anormale” che questi giovani fanno in quel di Vibo, racconta il procuratore Camillo Falvo: «Non andare a pranzo fuori dall’ufficio, non frequentare feste, verificare il casellario giudiziale di chi ci affitta la casa o del proprietario della pizzeria dove andiamo la sera, peraltro in compagnia solo di colleghi. Siamo qui, in un posto di frontiera. Capisco che nessuno voglia venire, come i medici al Pronto soccorso». Tre anni qui, poi in molti chiedono il trasferimento.
I giudici con maggiore esperienza, scrive La Stampa, "se ne stanno alla larga dalla Calabria. I bandi del Csm per i trasferimenti volontari finiscono regolarmente deserti, anche se incentivati con bonus da 1.600 euro al mese".
Vi è poi l’esperienza di Ilario Nasso, un "decano" al tribunale di Vibo anche se ha solo 36 anni. Originario del Reggino, dopo gli studi al Nord il ritorno in Calabria. Voleva diventare giudice del lavoro e l’unico posto disponibile era a Vibo Valentia. Un posto che era vacante da due anni: quando è arrivato, nel 2017, racconta a La Stampa di aver trovato "duemila processi non trattati, una mole di lavoro da 1300 fascicoli ogni anno". Nel solo 2022 ha scritto 832 sentenze.
Eppure il suo lavoro deve aver dato fastidio. L’anno scorso un volantino circolato in tribunale conteneva minacce verso lui e l’altro giudice del lavoro, Tiziana Di Mauro. «La gente non ce la fa più, è indignata e sta scoppiando. L’unico modo è usare le maniere forti. Ormai c’è solo il fuoco, da un momento all’altro la mamma di Nasso può morire così come la Di Mauro può scivolare lungo i binari per un capogiro», recitava il foglietto firmato da Unione per la Legalità.
«Quando l’ho letto mi sono sentito male. Sono calabrese ma non avrei mai pensato a qualcosa del genere», ammette ora Nasso al giornalista di La Stampa. «Il lavoro è duro, frustrante. Non abbiamo una vita», dice un’altra giovane giudice in servizio a Vibo. «Ma è quello che sognavo di fare, non mi lamento», aggiunge.