AUDIO | La figura del presunto boss Antonio Carzo emerge durante le indagini della Dda. Sotto di lui, ipotizzano gli inquirenti, si muovono gli affari legati al ramo prettamente criminale del clan. Un ruolo che si sarebbe guadagnato sul campo, in un gioco in cui le regole, raccontano le intercettazioni, sono sempre le stesse
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«Glielo avevo detto dall’inizio, lasciami stare a me. Guarda che io se ci sono bambini ti prendo i bambini». Della Locale romana scoperta lo scorso anno dalla distrettuale antimafia della Capitale – la prima all’interno del raccordo riconosciuta come “autonoma” rispetto alla casa madre in Calabria – Antonio Carzo è considerato, assieme a Vincenzo Alvaro, uno dei due capi.
Sotto di lui, ipotizzano gli inquirenti, si muovono gli affari legati al ramo prettamente “criminale” della cosca: estorsioni, taglieggiamenti, violenze. Un ruolo che Carzo si sarebbe guadagnato sul campo, in un gioco in cui le regole, raccontano le intercettazioni, sono sempre le stesse.
A cominciare da quelle a cui si ricorre quando si intende terrorizzare la vittima di turno. «I bambini a che servono? per fargli male. Solo a questo servono. Se non ci sono i bambini, c’è la moglie, c’è la mamma – spiega Carzo al figlio istruendolo sul punto – ma non è che gliela ammazzo, gli butto tanto di quell’acido in faccia alla moglie che quando lui la guarda deve pensare “per me, per colpa mia”».
L'audio dell'intercettazione è stata fatta sentire nella quarta puntata di Mammasantissima - Processo alla 'ndrangheta.
Temuto e potente, è Carzo ad avere ricevuto l’autorizzazione dalla “provincia” per la costituzione della costola romana dell’organizzazione. Ed è sempre lui «organico alla ‘ndrangheta con una dote di altissimo livello della Società Maggiore» ad occuparsi dell’organizzazione della “mangiate” in cui si formalizzano le nuove doti da assegnare agli uomini e a tenere i contatti con la cellula madre a Sinopoli e Cosoleto.
Ma è l’azione il vero pezzo forte del presunto boss. Accusato di avere partecipato direttamente a numerosi episodi di violenza, Carzo spiega al figlio come comportarsi con uno che non vuole piegarsi. «Poi glielo dici – si raccomanda – la prossima volta va peggio. Mio padre ti vuole vedere con l’acido in faccia che ti brucia. Così capisci con chi hai a che fare, pezzo di cornuto». E se le minacce recapitate dai suoi sottoposti alle vittime non colpiscono nel segno, è lo stesso Carzo a intervenire in prima persona, chiamando un imprenditore da cui pretende denaro. Sul piatto ci sono 500mila euro e il boss trapiantato nella Capitale vuole la sua parte. Un bottino da accaparrarsi grazie alla paura provocata nella vittima dalle minacce di uno del suo calibro.
«Tu si sulu nu bastardu indegnu, se ti prendo ti ammazzo – urla il presunto boss al telefono, ignaro di essere ascoltato dagli inquirenti che da tre anni indagano sulla cosca e sui suoi ramificati interessi nel ricco mercato della Capitale – Ti giuro sull’anima di mia madre che dove ti stringo ti stringo ti scanno».
Carzo è un fiume in piena, dall’altra parte della cornetta il suo interlocutore non può fare altro che bofonchiare qualche pezzetto di parola mentre viene sommerso da insulti e minacce. «Non mi riguarda un cazzo più, pe mia ti ponnu fari mortadella. Con chi ti pare di avere a che fare? Senti sbirru tu mi devi dare i soldi… domani portami i sordi. Avevi 500 mila euro, domani portami i sordi o ti scannu comu a nu crapettu, vegnu e t’ammazzu i toi».