Il capitano del Triplete sentito nell’inchiesta Doppia Curva: «Mi dissero che era un nuovo ragazzo della Nord». I trascorsi di Totò u Nanu da tifoso della Reggina («scassavo tutto») e l’intercettazione dopo la lettera anonima: «Mi chiamano gobbo perché sono juventino»
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«L’ho visto una volta. Me l’ha presentato un anno fa Andrea». “Andrea” è Beretta, il capo della Nord interista che ha ucciso a coltellate Antonio Bellocco, rampollo del clan di Rosarno, lo scorso 4 settembre. Il virgolettato, invece, appartiene a Javier Zanetti, bandiera nerazzurra che ammette di aver conosciuto Bellocco. «Me l’ha presentato come un normale tifoso, dicendomi che era un nuovo ragazzo della curva», ha aggiunto Zanetti, ricordando la felicità di Bellocco per aver conosciuto il “capitano”, il simbolo del Triplete del 2010 che è diventato negli anni «un punto di riferimento» anche per gli ultrà più accesi.
Zanetti, oggi vicepresidente dell’Inter è stato ascoltato dai poliziotti della Mobile nell’ambito dell’inchiesta Doppia Curva dei pm Sara Ombra e Paolo Storari della Dda di Milano: ha ammesso di «conoscerli un po’ tutti» i ragazzi della Nord. A parte la new entry Bellocco, gli altri «sono persone che conosco, dopo 30 anni all’Inter, come giocatore e dirigente, e non li ho mai visti fare nulla di male nei confronti del club».
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«Ascoltavo tutti», ha detto ancora Zanetti. Senza che per questo si sia mai sentito «minacciato» o comunque «costretto» a fare qualcosa. Come per biglietti in più che gli ultrà pretendevano per la finale di Champions 2023: «Sono uno di quelli a cui si sono rivolti», ha detto Zanetti, che si sarebbe limitato a riportare la richiesta «alla società».
Bellocco è elettrizzato per aver conosciuto lo storico capitano argentino dell’Inter anche se i suoi trascorsi da tifoso sono colorati di amaranto. In una delle conversazioni con Marco Ferdico, triumviro ultrà che lo introduce in curva Nord, Totò u Nanu condivide ricordi del suo approccio violento al sito: «Se mi vedi allo stadio faccio paura, distruggo tutto, non riescono a trattenermi». Un modo per accreditarsi con le frange più violente del tifo nerazzurro: «Mi piace fare gli scontri, sono malato di queste cose, mi piace spaccare le teste, sono un po' psicopatico. Sono stato 10 anni in curva per seguire la Reggina e ho fatto qualsiasi cosa, pensa che chiudevamo i tifosi dei paesi vicini negli scompartimenti dei treni e svuotavamo dentro gli estintori per costringerli allo scontro».
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C’è un’altra “confessione” del Bellocco tifoso apparsa nei giorni scorsi sulla Gazzetta dello Sport e anch’essa contenuta nelle intercettazioni agli atti dell’inchiesta. È una conversazione in cui il “capo” della curva interista, leggendo una lettera anonima in cui gli danno del «nano e gobbo», esclama: «È perché sono juventino, dunque è uno che mi conosce». Le parole chiariscono che, in fondo, in questa storiaccia di curve criminali, la fede sportiva non c’entra nulla. Per dirla con un’altra frase captata dagli investigatori «contano solo i soldi, non si lavora per il popolo». Le strette di mano con le bandiere storiche e le professioni di fede (ultrà) servono soltanto ad acquisire più potere e reclamare per sé fette più grosse del business.