VIDEO | Il gruppo di volontari non si è abbattuto per il furto dei giorni scorsi: «Ringraziamo chi conferisce beni e i tanti autotrasportatori che si offrono di aiutarci con i carichi»
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«Sentiamo che la vittoria di questa guerra sarà nostra anche se non sappiamo dire ancora tempo ci voglia. Necessario chiudere i cieli. Intanto proseguiamo a predisporre questi carichi di aiuti alle popolazioni civili che in ogni istante rischiano di non sopravvivere. Abbiamo dovuto rallentare per sistemare quando lasciato in disordine e per riparare i danni causati dal furto che abbiamo subito alcuni giorni fa, ma non ci lasciamo abbattere e andiamo avanti sempre più convinti che questa guerra finirà con la nostra vittoria».
Tengono il morale alto, anche se negli occhi si legge il costante stato di apprensione per i cari sotto le bombe in Ucraina. Irina Dubka e Denis Nikolaichuk sono tra i responsabili del centro di raccolta di beni di prima necessità, allestito al Cedir di Reggio Calabria, dove nei giorni scorsi ignoti si sono introdotti per rubare.
La denuncia e la ripresa
Hanno sporto denuncia e attendono l’esito delle indagini della polizia dopo quanto accaduto nell’unico pomeriggio in cui il centro era rimasto chiuso per consentire anche a loro di partecipare alla tappa della Fiamma che unisce promossa dal Coni svoltasi a piazza Italia. Nonostante il rallentamento che ciò ha provocato, con un carico pronto invece danneggiato e depauperato che partirà con ritardo tra qualche giorno e la porta forzata da riparare, le attività non possono fermarsi. Un impegno quotidiano che non è solo necessario per chi sopravvive alle bombe ma che è anche vitale per chi fisicamente è qui ma con il cuore e il pensiero è costantemente lì.
«Il contributo al nostro popolo in guerra»
«Facciamo quello che possiamo per dare così un nostro contributo, vista la resistenza che i nostri connazionali stanno portando avanti. Certamente ritrovarci qui ci aiuta a tenere occupata la mente e ad arrivare in fondo ad ogni giornata. Ci lasciamo consolare e consoliamo a nostra volta, piangiamo oppure tentiamo di sdrammatizzare. Tutti abbiamo lì persone care. Ci addormentiamo e ci svegliamo con il telefono vicino nell’attesa di ricevere buone notizie», racconta Irina Dubka che ha i colori giallo e azzurro della bandiera ucraina anche sulle sue unghie. Un modo per esprimere con orgoglio la sua appartenenza ad un popolo che in questo momento, resistendo all’invasione russa, sta difendendo la propria libertà e non solo.
«La terza guerra mondiale è già cominciata; è necessario prenderne atto. L’Ucraina sta fungendo da estremo baluardo per la libertà di tutta Europa, da ultima frontiera rispetto alle mire espansionistiche di Putin, al governo della Russia da quasi vent’anni. Ringraziamo tutti di essere dalla nostra parte ma è necessario chiudere i cieli. L’Ucraina deve essere e sarà libera», sottolinea Denis Nikolaichuk, a Reggio da oltre dieci anni e proveniente da Zhytomyr, città duramente bombardata a oltre cento chilometri da Kiev.
La solidarietà non si ferma
A chiedere aiuto e a dare una mano nello smistamento e nella preparazione dei pacchi al centro di raccolta reggino anche persone rifugiate che da quella guerra sono scappate. L’attività non si ferma e, come lo stato di bisogno, anche la solidarietà reggina perdura.
«Siamo aperti ogni giorno dalle 8 del mattino fino anche alle 10 di sera. Ciò che di cui soprattutto necessitiamo sono medicine, omogeneizzati e pannolini e anche vestiti ma solo per bambini. Sono ancora tante le persone che ogni giorno vengono per consegnare beni e noi proseguiamo nel confezionamento in vista dei carichi che settimanalmente partono. Autotrasportatori volontari arrivano anche direttamente dall’Ucraina per prendere i carichi. In tanti ci aiutano partendo anche da qui, facendo spesso le staffette e trasbordando i carichi su altri mezzi. Da Reggio Calabria, in fondo all’Italia, l’Ucraina è lontana», spiega ancora Denis Nikolaichuk.
«Tra i pacchi anche cibo per animali domestici perché anche loro hanno diritto a sopravvivere. Ringraziamo davvero ogni singola persona che conferisce beni in questo centro e anche i tanti autotrasportatori che si offrono di aiutarci con i carichi e che quotidianamente mi chiamano», evidenzia Irina Dubka.
Città bellissime, oggi ferite e distrutte
L’attività non si ferma né potrebbe farlo perché la guerra prosegue. A volte il pensiero va oltre a quando tutto sarà finito. Nel suo telefono Irina custodisce le foto delle città ucraine fino qualche mese fa bellissime e oggi profondamente ferite. Qualcuna non esiste addirittura più. In quelle foto ci sono pure i suoi fratelli, lì anche adesso e che sente ogni giorno. Tornerà presto nella sua Ucraina ma già sa che ciò che troverà sarà diverso.
«Vivo qui da vent’anni. Mio figlio è nato qui, ma la mia patria resterà sempre l’Ucraina. Spesso ci torno. L’anno scorso con mio figlio sono stata tre mesi e il primo posto dove andrò appena tutto sarà finito sarà proprio quello, anche se sarà una sofferenza anche non ritrovare le splendide città di cui conservo le foto», conclude Irina Dubka.