Il comune di Guardavalle, in provincia di Catanzaro, era il centro di un traffico di stupefacenti internazionale. È questa la sintesi dell'operazione deniminata Molo 13, istruita dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e condotta dal Nucleo di polizia economica finanziaria della Guardia di Finanza di Catanzaro. 

«Costa Gallace 'ndrangheta di Serie A»

«Io conosco questa locale di 'ndrangheta (Gallace) già dagli inizi degli anni 90» ha dichiarato a margine della conferenza stampa il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri. «Quando ero a Locri ed era stata messa a segno l'operazione Stilaro. È sempre stata considerata una famiglia di ndrangheta di Serie A con ramificazioni soprattutto nel Lazio. È sempre stata una famiglia di 'ndrangheta considerata di peso anche presso il crimine di San Luca però ci ha sorpreso questa grande proiezione internazionale. Ci ha sorpreso soprattutto il numero di conoscenze che questi avevano nel mondo perchè si proiettavano verso l'Australia, verso la Nuova Zelanda. Ma ci ha sorpreso soprattutto la capacità che questi hanno avuto di inserirsi in un circuito telematico non comune a tutte le organizzazioni criminali».

Il server in Costa Rica

È emerso dalle indagini il sistematico utilizzo, per il traffico illecito, di metodi di comunicazione non convenzionali, con dispositivi elettronici, associati a sim straniere, che si avvalevano di tecniche di messaggistica criptata tra "account" e "domini" associati a un server sito in San José. «Per noi - ha detto Gratteri - è stato un elemento di novità. Non conoscevano questo sistema in uso e della possibilità di avere un server dedicato che usciva fuori dalle comuni conoscenze tecniche. Sul piano tecnologico siamo riusciti a bucare il server ed intercettare le persone. Questa organizzazione aveva iniziato con il Black Barry, poi impiegando anche altri tipi di tablet e non si riusciva ad entrare tra il chiamante e il chiamato. Noi pur riuscendo ad avere il dato finale non capivamo da dove arrivava il messaggio e quindi a decriptarlo. Insomma, sapevamo che in quella casa chiusa si svolgevano delle attività illecite però non conoscevamo il contenuto. Non riuscivamo ad aprire la porta».

Le indagini

«Avevamo dei sospetti che ci potesse essere qualcosa di non usuale, che andasse oltre i soliti mezzi di comunicazione però non riuscivamo a capire cosa. E allora - ha continuato Gratteri - in uno dei viaggi in Costa Rica incontrando la polizia e il procuratore nazionale antimafia abbiamo scoperto dell'esistenza di questo server. Sono stati così coinvolti anche altre procure europee interessate e così siamo riusciti a decriptare questa mole enorme di conversazioni».