VIDEO-FOTO | Il procuratore di Catanzaro è stato il fulcro dell’appuntamento di Falerna organizzato dal Gruppo editoriale Pubbliemme-Diemmecom-ViaCondotti21. Quasi due ore davanti a un pubblico attentissimo, durante le quali ha raccontato del suo lavoro e del suo rapporto con questa terra: «Oggi la gente è più orgogliosa di essere calabrese». E ai detrattori ha detto: «L’invidia è una butta bestia, assilla i mediocri»
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Diretto e pungente come al solito il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, ospite a Falerna, dell’evento Link - Orgoglio e pregiudizio organizzato dal network di LaC, nel giorno della morte del giudice Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta, uccisi il 19 luglio 1992 a Palermo, in via D’Amelio.
Orgoglio e Pregiudizio | Il primo evento targato LaC con Gratteri protagonista, Maduli (Diemmecom): «Siamo la Calabria dalla parte giusta»
Una serata targata Diemmecom, con il presidente Domenico Maduli e il direttore generale Maria Grazia Falduto in prima fila nella cornice del Riva Restaurant di Falerna Marina, che ha raccolto tantissima gente venuta ad ascoltare e applaudire il magistrato di Gerace.
È stata anche l’occasione per presentare l’ultimo libro scritto dal procuratore reggino insieme al giornalista Antonio Nicaso “Fuori dai confini – La ‘ndrangheta nel mondo”.
Gratteri così si è concesso alle domande del direttore strategico del nostro network Paola Bottero ed è stato inevitabile partire da un filmato che mostrava le immagini della strage avvenuta 31 anni fa unitamente a momenti di vita insieme tra Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. «Quando è morto Falcone per tutti noi è stata una sorpresa, nessuno si aspettava che Falcone morisse in quel modo, perché lui in quel momento era fuori dalla prima linea. Non aveva il potere di fare la rivoluzione, non era un ministro» - ha detto Gratteri e «Borsellino per primo aveva capito che sarebbe stato ammazzato. Malgrado questo ha continuato a lavorare, giorno e notte, perché aveva fretta di capire cosa stava accadendo. Ovviamente, per ragioni tecniche non poteva indagare sulla morte di Falcone, poiché come previsto dall’articolo 11 del codice di procedura penale, la procura competente in questi casi è quella più vicina alla Corte d’Appello, ovvero Caltanissetta».
Il ragionamento di Gratteri è andato oltre a chi materialmente schiacciò il pulsante, decretando la fine di Falcone, della sua compagna e di buona parte della scorta, nella cosiddetta strage di Capaci. Premessa volta a parlare in un secondo momento dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. A distanza di 31 anni dal fatto ancora non si conosce il volto dell’uomo che, a dire di tanti, mentre i corpi bruciavano e l’eco della bomba stordiva i residenti nel raggio di 500 metri e più, si premurò di prelevare il diario del giudice lasciando invece l’agenda di colore marrone, quella «che abbiamo noi magistrati, ma anche gli avvocati, per fissare gli appuntamenti» - ha aggiunto Gratteri.
Il magistrato, sul punto, ritiene che si può ancora scoprire tanto sulla strage di via d’Amelio. Ma come nel suo stile, il procuratore di Catanzaro non ha avuto peli sulla lingua, criticando i suoi colleghi che trentuno anni fa definirono, in modo dispregiativo, «Borsellino fascista, perché aveva una sua visione della giustizia» rispetto a coloro i quali combattevano da vivi i due giudici uccisi da Cosa Nostra, per poi salire sui palchi e versare, dopo le loro morti, lacrime di coccodrillo. Per Gratteri, comunque, è straordinario che dopo tanti anni, durante le commemorazioni, ci siano migliaia di giovani che scendono in strada per dire no alla mafia, soprattutto in Sicilia.
Tornando a Paolo Borsellino, Gratteri ha ripreso le parole rese dalla moglie del giudice nel corso di una deposizione. «Due mesi prima della strage Borsellino girava come una trottola, andava spessissimo Roma, non per prendere un gelato in via del Corso o in via Condotti, perché il gelato a Palermo è più buono, ma si recava negli uffici del potere per sviluppare il suo piano investigativo e sapete cosa disse la moglie di quei momenti? Che ogni volta che suo marito tornava da Roma era sempre più nervoso, era sempre più agitato, sempre più arrabbiato, perché non riceveva conforto. Sappiamo tutti, anche grazie alla moglie – ha detto Gratteri – che Borsellino nell’agenda rossa appuntava tutte le cose rilevanti che avvenivano nel corso della giornata, come oggi un quindicenne fa sul cellulare, erano quindi cose intime, personali» e dunque ipotizza che all’interno del “diario” “c’era un pezzo di storia di quell’anno, c’erano segnati gli incontri delle persone che lui andava a trovare a Roma» ha proseguito Gratteri. «Fino a quando c’è qualcuno in vita, quell’agenda ha potere di ricattare non solo persone ma anche centri di potere» e per il magistrato è fondamentale non mollare la presa su questo punto. Prima di cambiare argomento, Gratteri ha rivissuto quell’attimo. «Quando Cosa Nostra ammazzò Borsellino mi trovavo nella sala intercettazioni della procura di Locri», mentre due mesi prima, quando Giovanni Brusca fece saltare in aria l’autostrada, dove stava passando Falcone, «ero nel carcere di Bologna Dozza».
Gratteri e il suo concetto di libertà
Paola Bottero, nel corso della chiacchierata all’interno del “LaC on air Village Riva Restaurant”, è tornata anche sul concetto di libertà, tanto caro a Gratteri. «Non vado a mare penso da 25 o 30 anni, non vado neanche al cinema e ho smesso di avere una vita sociale, come fare una passeggiata con la famiglia sul lungomare» nella splendida costa jonica reggina, visto che abita a Gerace, nella Locride. «Non sono mai andato, ad esempio, a vedere una recita a scuola dei miei figli né a chiedere il rendimento scolastico agli insegnamenti. Fare questa vita comporta tanti rischi», come dover attendere un’ora, o forse più, per andare in bagno in autostrada, in attesa di individuare l’autogrill giusto.
«Una persona può stare anche un anno sotto una pietra se è convinto che quello serva a qualcosa, perché così si supera qualsiasi sacrificio e sofferenza fisica e mentale, purché ci sia un’idea, un progetto». Il tutto finalizzato a poter dire in libertà ciò che si pensa. «Io mi sono costruito una vita così, esattamente per dire ciò che penso, senza prendere querele e denunce – lo afferma ridendo – se quello che dico non può essere dimostrato. Allora, mi sto zitto».
In realtà Gratteri parla tanto ed è consapevole che quando punta il dito contro il malaffare, fa innervosire tante persone. «Non è che io non mi renda perfettamente conto che quando parlo disturbo il manovratore, capisco benissimo che mi sto tirando la zappa sui piedi ma sono fatto così mi piace dire quello che penso e raccontare le cose che altri purtroppo non possono raccontare, perché non hanno la forza, il coraggio, che è una cosa che non si vende al supermercato».
E qui Gratteri lancia una stoccata a chi pensa che i calabresi siano omertosi. «Statisticamente parlando si denuncia più in Calabria che in Lombardia, attorno a Milano c’è tanto riciclaggio da parte della ‘ndrangheta, ma non si ricevono denunce, qui a Catanzaro abbiamo la fila di persone che vengono a parlare e raccontare le loro le vessazioni e le umiliazioni che subiscono anche da parte di imprenditori importanti di strutture turistiche come quelle del Crotonese che hanno avuto il coraggio di denunciare i vertici della ‘ndrangheta, non gente così».
Ma Gratteri è convinto che per ottenere questi risultati sia necessario che un magistrato e un esponente delle forze dell’ordine debbano essere credibili agli occhi dei cittadini. «Quando sento gente che dice che non denuncia nessuno, a questi dico: fatevi un esame di coscienza. Cosa avete fatto durante il giorno, quanto tempo avete dedicato all’ufficio, alle persone che chiedono di parlare con te, che bussano alla tua porta. Quanto? Per creare questo movimento, bisogna preparare il tappeto, infondere fiducia nella gente, mandando anche un carabiniere, un poliziotto o finanziere in via confidenziale a parlare con quel soggetto che può dirti qualcosa».
Arresti e sentenze, il Gratteri pensiero
Prima di affrontare altri temi delicati, come la povertà in Africa e le conseguenze della guerra in Ucraina, Nicola Gratteri, sollecitato da Paola Bottero, ha ricordato gli ultimi risultati ottenuti dalla Dda di Catanzaro. «Insieme alla polizia, ai carabinieri e alla Finanza nell’ultimo anno abbiamo arrestato 600-700 persone presunti innocenti, indagati per concorso esterno in associazione mafiosa, omicidi, estorsione, usura e tanto altro. Direi che nell’ultimo anno ho proprio perso forza», ha detto sarcasticamente Gratteri a Falerna Marina, ricordando un attimo dopo, la sentenza di “Testa di Serpente”, emessa dal tribunale di Cosenza, contro i gruppi mafiosi degli Abbruzzese “Banana” e dell’ex sodalizio capeggiato da Roberto Porcaro, oggi collaboratore di giustizia. «Tutti gli imputati sono stati condannati, così come in un processo a Catanzaro, dove su 30 persone ne sono state assolte solo cinque, tra l’altro non detenute».
Il suo discorso è andato ancora più in profondità, smentendo, dal suo punto di vista, che le operazioni che coordina portano a lungo andare a tante scarcerazioni. «Ogni volta che dobbiamo eseguire degli arresti siamo costretti a prenotare una settimana prima, perché le carceri sono piene. Ma se quelle calabresi sono piene, significa che qualcuno rimane dentro».
Gratteri ha poi ricordato la statistica secondo la quale «dal 2016 a oggi presso la Corte d’Appello di Catanzaro non vi è un caso per ingiusta detenzione», un argomento oggi al centro del dibattito calabrese, a seguito del durissimo scontro tra gli avvocati e proprio la Corte d’Appello di Catanzaro, per le mancate valutazioni dei casi esposti dai legali circa le posizioni degli imputati che ritengono di essere stati arrestati senza un valido motivo. «Certa gente dovrebbe avere anche il pudore e il rossore di stare zitto e di non continuare a ripetere falsità, un giorno sì e l’altro». E ha aggiunto: «La cosa secondo me che dà più fastidio è l’invidia, una brutta bestia che molti non riescono a controllare, un sentimento che assilla i mediocri».
Poi Gratteri, pur senza mai citare il contesto associativo della magistratura, ha bacchettato chi pensa che se non fai parte di quel “cerchio magico” devi stare fuori dai giochi. «La credibilità è una cosa che non si compra, è il risultato di anni di lavoro, la costruzione di un muro dove ogni giorno metti un mattoncino, questa credibilità manda in tilt, perché non fai parte di nessuna associazione» e secondo Gratteri questo modo di vivere e di pensare non viene digerito dai centri di potere. Questo ha permesso al procuratore di Gerace di parlare del tema dell’evento “Orgoglio e pregiudizio”. «Ho notato in questi anni a Catanzaro che la gente è più orgogliosa di essere calabrese, perché la procura di Catanzaro ormai è una realtà strutturata. Ci sono magistrati giovani ma di altissimo livello molto preparati, seri, intelligenti, onesti incorruttibili, ormai gli ho fatto la trasfusione e gli ho infettato la “gratterite". Sappiate che per i prossimi 4-5 anni c’è un percorso tracciato che porterà a ottimi risultati».
E chi raccoglierà i frutti del suo lavoro, ha detto Gratteri, dovrà essere un procuratore importante che metta i magistrati nelle condizioni di lavorare nel miglior modo possibile, senza che i pm dell’ufficio debbano pensare ad altro. Come a un esposto anonimo, a una denuncia che arriva dalla procura di Salerno o dal Csm. Gratteri ha svelato anche di girare due-tre volte al giorno negli uffici della procura chiedendo ai suoi colleghi se hanno bisogno di qualcosa o se non sono presenti in ufficio li esorta ad arrivare il prima possibile.
«Oggi i nostri corridoi sono simili a quelli di una chiesa, prima c’era gente in giro che parlava e perdeva tempo, chiacchierava, oggi sono tutti dentro che lavorano tanto e gli ho ordinato di avere sempre la porta aperta, perché se viene un uomo delle forze dell’ordine non deve aspettare, lui deve comunicare e proseguire nel suo lavoro di investigatore». Insomma, a Catanzaro è vietato perdere tempo.
Poi una stilettata al mondo dell’avvocatura, oggi in piena polemica con i magistrati per le maxi-operazioni coordinate in Calabria. «L’altro giorno ho partecipato a un convegno dove ha preso la parola il presidente dell’ordine degli avvocati di Catanzaro, una bella persona. Aveva iniziato a tirare tanti sassolini contro la magistratura, così ho deciso di prendere la parola e un sassolino l’ho buttato pure io nel loro stagno. Condivido tante cose che aveva detto, ma ho evidenziato come oggi la scrivania si sia notevolmente assottigliata tra l’avvocato e il cliente, anzi in alcuni casi non c’è proprio». Una dichiarazione che porterà ad altre polemiche con l’altro mondo togato.
L’Africa e la guerra in Ucraina
Prima di concludere la lunga intervista, Paola Bottero ha parlato anche del libro “Fuori dai confini – La ‘ndrangheta nel mondo”, che tratta degli interessi illeciti delle organizzazioni criminali in Africa, dove la Cina ha ormai comprato quasi tutto e chi è povero è destinato a rimanere ancora più povero, vivendo nella miseria. Gratteri ha spiegato le sue esperienze nel Continente, ricordando ciò che ha visto in Zimbabwe, dove le potenze mondiali, nonché gruppi criminali, approfittano dello stato dell’arte, prendendo le ricchezze del posto per importarle nel mondo. Ciò, secondo Gratteri, produce tante vittime innocenti di cui oggi non si conosce nulla.
«Tutti sappiamo cosa succede nel Mar Mediterraneo, ma nessuno sa quante persone muoiono ogni giorno nel tentativo di attraversare il deserto, fuggendo da alcuni posti. Nessuno lo sa perché lì le telecamere non ci sono, non vediamo i corpi senza vita, allora non ci preoccupiamo. In quei luoghi il tasso di sfruttamento è davvero elevato e tutti traggono profitti illeciti, anche le mafie tra virgolette più importanti, come la ‘ndrangheta, la Camorra e Cosa Nostra». Questo per agganciare il discorso relativo alle migrazioni, contestando le posizioni di chi come Francia e Inghilterra, un tempo sfruttavano questi Paesi per i loro fini, e oggi si permettono di criticare l’Italia, quando invece «sono gli ultimi a poterlo fare» ha detto Gratteri.
La mafia calabrese, ha ricordato il magistrato, in Congo fa quello che vuole, corrompe ministri e altri esponenti governativi, li sfrutta a proprio piacimento, per arricchirsi e diventare sempre più forte e pericolosa.
«Nel 2023 ancora parliamo di mafia, non parliamo di migrazioni, ma per fare ciò è necessario studiare la storia, non su internet, perché informarsi è un’altra cosa. Tutti dobbiamo essere consapevoli di una cosa: le mafie esistono perché esiste il potere, perché il potere ha bisogno delle mafie». E qui Gratteri richiama le elezioni a fine 1800 a Reggio Calabria, che furono annullate per innumerevoli irregolarità riscontrate dal Prefetto dell’epoca, che vedevano coinvolti gli avi dei De Stefano «che oggi comandano mezza Reggio Calabria e un quarto di Milano».
Infine, una considerazione sulla guerra in Ucraina. «La mafia ucraina è scappata via, perché i mafiosi sono dei vigliacchi, oggi combattono i professionisti, gli operai, abbandonati al loro destino ma con tante armi da poter utilizzare. E mi chiedo: cosa ne sarà un domani di tutto ciò? Succederà quello che è avvenuto in Jugoslavia, dove la creazione di tanti Stati, ha portato anche a un illecito arricchimento di armi da guerra da parte delle organizzazioni criminali rivendute poi alle mafie italiane, come la ‘ndrangheta, la Camorra e Cosa Nostra. Io avrei pensato di mettere quantomeno un Gps sotto ogni arma, così da sapere dove si trova una volta che la guerra sarà terminata. Questo arricchimento è accaduto già in passato e temo che possa succedere di nuovo, dobbiamo stare molto attenti».
In conclusione, Gratteri ha invitato le scuole a portare gli studenti nei centri di recupero per tossicodipendenti e di evitare di organizzare progetti sulla legalità. «È molto più utile questo che altro».