Uno dei sopravvissuti alla tragedia di Cutro ha identificato i trafficanti in tre turchi, tra cui anche il minore. Il suo racconto durante l'incidente probatorio: «Volevano arrivare di notte, hanno visto delle luci e hanno pensato fosse la polizia»
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«Eravamo preparati, avevamo indossato gli zaini. Gli scafisti puntavano verso la spiaggia ma hanno visto delle luci a terra e hanno pensato che fosse la polizia. Hanno fatto una manovra repentina per scappare. Le onde alte hanno fatto inclinare la barca, poi è avvenuto l'urto».
È questo il racconto di uno dei superstiti del naufragio di Steccato di Cutro, cristallizzato nell'incidente probatorio che si sta celebrando in questi giorni dinnanzi al gip del Tribunale dei Minori di Catanzaro nell'ambito del procedimento a carico del presunto scafista 17enne accusato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina in concorso con Sami Fuat, Gun Ufuk (entrambi di nazionalità turca) e Khalid Arslan (di nazionalità pakistana).
L’udienza | Strage migranti Cutro, iniziato l’incidente probatorio del presunto scafista minorenne
«Chi guidava era un siriano - ha raccontato il superstite -. Poi siamo saliti su un'altra barca condotta invece da tre turchi. Ci hanno preso i telefonini. Sulla seconda barca, eravamo tutti sottocoperta. Era vecchia e potevamo salire sopra solo per prendere una boccata d'aria. Eravamo stretti, non c'era posto per sederci tutti. Il mare fino al 25 febbraio è stato calmo poi ha cominciato ad agitarsi. Ci siamo spaventati. Sapevamo di dover arrivare il 24 febbraio. Ho capito di essere arrivato nelle acque italiane perché ce lo hanno detto le persone che si occupavano della barca, che ci hanno dato i telefonini».
«Eravamo in ritardo - prosegue il suo racconto il superstite - ma già prima di partire sapevamo che le condizioni sarebbero peggiorate. Le onde erano molto alte, eravamo agitati ma gli scafisti rassicuravano dicendo che eravamo quasi arrivati. La barca andava veloce. La notte del 25 quando il mare era molto agitato dicevamo agli scafisti di non ritardare perché la barca aveva rallentato ma gli scafisti volevano arrivare di notte. L'ultima notte il mare era ancora più agitato. Anche quando ci hanno dati i telefonini, non avevamo linea perché c'era un jammer».
«Se avessi avuto linea avrei chiamato i soccorsi ma nessuno ne aveva. Abbiamo chiesto agli scafisti di chiamare i soccorsi ma hanno detto che non c'era bisogno. Non li hanno chiamati neppure vicino alla costa. Le condizioni del mare alla fine erano peggiorate così tanto che gli scafisti ci hanno permesso di salire sopra».
«Ho nuotato venti, trenta minuti prima di arrivare a riva» conclude il suo racconto il superstite che ha confermato di essere stato per due anni in Turchia prima di partire da Smirne. «A terra c'erano i carabinieri. Nessuno mi ha aiutato. I carabinieri accompagnavano le persone che uscivano dall'acqua a sedere».
«Il giovane afghano - ha spiegato Domenico Poerio, l’avvocato che ha assistito il teste - ha riconosciuto l’indagato dicendo che ha avuto una parte all’inizio, perché aveva nella sua disponibilità una casa nella quale sono stati ospitati i 180 migranti prima della loro partenza verso l’Italia, ha detto che era la casa dei trafficanti. Poi tutti sono stati trasferiti con dei camion in uno dei quali c'era l’odierno indagato. Questo indagato secondo il mio assistito aveva un ruolo nell’organizzazione, un ruolo minore rispetto ad altri individuati come scafisti o piloti ma aiutava l’equipaggio».
L'incidente probatorio proseguirà nelle giornate del 30 marzo e del 3 e del 4 aprile. Con ogni probabilità già nella prossima settimana inizierà quello dinnanzi al gip del Tribunale di Crotone nell'ambito del procedimento aperto nei confronti dei altri tre presunti scafisti. All’udienza ha partecipato anche l’avvocato Francesco Verri, legale dei parenti delle vittime del naufragio di Cutro: «L'aspetto dal mio punto di vista più interessante - ha sostenuto l’avvocato Verri - è legato alle fasi che hanno preceduto l’urto perché il superstite ha dichiarato che gli scafisti puntavano sul favore delle tenebre, volevano cioè arrivare di notte».
«È un dato acclarato però significativo e anche, a questo punto, processuale, perché così come gli scafisti sanno che arrivando di notte si rendono meno riconoscibili, l’attenzione delle autorità di notte dev'essere maggiore per la stessa speculare ragione. Il drammatico gioco a guardia e ladri presuppone che i ladri facciano i ladri ma che le guardie facciano le guardie. Il superstite - ha quindi concluso Verri - ha dichiarato che ha nuotato circa mezzora e quando è arrivato a terra c'erano già i carabinieri, quindi potrebbe essere arrivato a terra dopo il testimone che abbiamo sentito ieri, che ha invece nuotato solo mezzora ma non ha trovato nessuno, solo un pescatore».