Il sequestro di un arsenale cambia sempre drasticamente il corso degli eventi. Bartolomeo Arena, che diede una imbeccata determinante ai carabinieri consentendo che fosse recuperata in un casolare di Piscopio l’impressionante santabarbara dei Ranisi, probabilmente fece evitare una guerra di mafia.

Raffaele Moscato racconta che scovando l’arsenale degli Emanuele, nelle Preserre, la polizia fece addirittura saltare il piano studiato per far evadere dal carcere il sanguinario boss ergastolano Bruno Emanuele.

E il carico di armi saltato fuori dopo il blitz nella tenuta del mite professore di Stefanaconi - che per chissà quale coincidenza astrale s’è ritrovato, oltre i fucili legalmente detenuti e i paramenti massonici, anche una mitragliatrice, pistole e un botto di munizioni - come ha cambiato il corso della storia? Forse un giorno un collaboratore di giustizia dirà, forse diranno le indagini delle forze dell’ordine che fin qui hanno dimostrato come il Vibonese, quanto a dinamiche criminali e traffici, sia un autentico crocevia.

Armi potenti e ricercate

D’altro canto questa è stata, per diversi anni, la provincia italiana con il più alto tasso di omicidi in rapporto alla popolazione. Non deve sorprendere il rinvenimento di certi carichi e non può sorprendere la tipologia di alcuni ferri corti e lunghi. Qui, alcuni, così potenti e così rari, circolano da sempre. Risaliamo fino al 29 settembre 1994, quando in uno sciagurato assalto armato sull’autostrada Michele Iannello esplose a ripetizione quei colpi che uccisero il piccolo Nicholas Green. Iannello – ha sentenziato oltre ogni ragionevole dubbio la giustizia italiana, impugnava una ricercatissima e potentissima pistola Taurus calibro 9 parabellum prodotta in Brasile. E il Brasile tornerà nel nostro racconto…

Sì, perché la malavita vibonese per le armi di un certo tipo ha sempre avuto una passione. Anche se - a volte - per procurarsi un arsenale, anche a costo di alimentare i rischi, è necessario andare dall’altra parte del mondo.

Rinascita Scott, la monumentale inchiesta condotta dal pool di Nicola Gratteri e dai carabinieri, ancora una volta è illuminante. Tra gli indagati c’era anche Bruno Fuduli, che si tolse la vita, impiccandosi esattamente un mese prima che scattasse il blitz. Era indagato per traffico di armi: sarebbe stato l’intermediario per un traffico transnazionale che avrebbe condotto in Italia un carico direttamente dal Sud America.

La doppia vita di Bruno Fuduli

Bruno Fuduli era un personaggio poderoso, che nella sua doppia vita – d’infiltrato prima e trafficante di droga poi – fu capace di dimostrare come la vita reale possa ispirare fantasia e fiction, se non addirittura superarle. Per chi non conoscesse la sua storia, la mala aveva in pugno la vita della sua famiglia e gli propose un traffico di cocaina per uscirne, egli però ne parlò con l’allora pm antimafia Salvatore Curcio ed il Ros che, per la prima volta nella storia del nostro Paese, utilizzarono la figura dell’ausiliario di pg, ovvero un civile infiltrato. Nome in codice “Sandro”, per Fudulilì ebbe inizio un’avventura incredibile, tutta documentata dal Ros, fatta di trattative con i narcos, viaggi nelle selve dell’America latina, sequestri di persona, carichi di cocaina, fino al blitz “Decollo”, una delle più grandi operazioni antidroga di tutti i tempi.

Si aspettava chissà quale gratificazione dallo Stato italiano, Fuduli, e così, sentendosi tradito, lui che parlava diverse lingue ed aveva un coraggio ed un cervello fuori dal comune, si mise a fare proprio il narcotrafficante. E finì in guai seri: perseguito, arrestato, processato, condannato, così come ci si aspetta nei confronti di chi sceglie il crimine. Un destino segnato fino alla fine dei suoi giorni: fino al suicidio, il 18 novembre del 2019, nella sua casa di Filandari.

Armi, un traffico da film

Fuduli, negli ultimi anni della sua vita, s’era dato - per dirla con il pool di Gratteri ed il gip di Rinascita Scott, Barbara Saccà - al «commercio internazionale di armi da fuoco e clandestine». E questa ultima vicenda giudiziaria dalla quale non potrà difendersi racconta quanto articolate e ingegnosesiano le strategie imbastite dalle cosche per approvvigionarsi di autentici arsenali.

I carabinieri hanno inoculato il loro spyware su un dispositivo elettronico in uso a Gregorio Niglia: è un presunto grossista di droga, proveniente da Briatico ma legato soprattutto alla mala di Zungri.Uno che rifornisce - dicono alcune indagini - anche le cosche della mafia siciliana.

Una sera Gregorio Nigliava a cena in un ristorante di Pizzo, assieme al boss Peppone Accorinti e al suo luogotenente Antonio Vacatello. Tra i commensali c’è anche Bruno Fuduli: hanno in animo di trasportare dei carichi di droga e armi dal Sud America in Italia. Poco tempo dopo Fuduli parte per il Brasile e – proprio come avvenne ai tempi di operazione Decollo – studia, come copertura di un traffico di droga e di armi, un’importazione di materiale minerario.

Droga e armi, una volta individuati i fornitori, vanno nascosti in blocchi di pietra e marmo provenienti da una cava di Goias, stato della Repubblica federale del Brasile, e successivamente importati a bordo di navi portacontainer destinati ad attraversare l’oceano e ad attraccare in Italia. Fuduli sa come fare: sa che la parte più rischiosa è lo sdoganamento, sa che servono due autotreni per trasportare i container, sa che è meglio richiederli ad aziende ignare di tutto, e sa che bisogna indicare indirizzi fittizi per la loro consegna; la burocrazia, compresi i documenti per l’imbarco, sono un problema già risolto.

’Ndrangheta 3.0

Probabilmente - è il sospetto degli inquirenti - la mala di Briatico e Zungri aveva già sperimentato il canale brasiliano. Lo dimostra un sequestroavvenuto il 15 febbraio 2016 a Briatico: i carabinieri recuperarono due fucili a pompa calibro 12, avvolti in un telo di cellophane, made in Brasile e importati da un’azienda americana con sede a Las Vegas. Forse una partita di prova: armi nuove, potenti ed efficienti. Non solo e non più fucili con matricola abrasa, rapinati o rubati ai cacciatori. Non solo e non più le armi riciclate a vent’anni dalla fine della Guerra dei Balcani. Questa è la ‘ndrangheta 3.0 che traffica armi, raccontata da Rinascita Scott.

 

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