Una famiglia dilaniata dal dolore che continua a chiedere verità per una vittima innocente della criminalità organizzata uccisa il 25 ottobre 2012
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«Vogliamo giustizia. Giustizia per nostro figlio, che a distanza di otto anni non l’ha ancora ottenuta». È l’ennesimo sfogo di Martino Ceravolo che stamattina davanti al palazzo di Giustizia di Vibo Valentia, ha inscenato una nuova pacifica protesta. Si dice pronto a gesti estremi: sua moglie, che devastata dal dolore ha tentato il suicidio qualche giorno addietro, oggi è viva per miracolo.
Chiedono tutti giustizia per Filippo Ceravolo. Diciannove anni, vittima innocente della criminalità organizzata. Il 25 ottobre del 2012, sera, chiese un passaggio alla persona sbagliata, Domenico Tassone, un giovane vicino al clan Emanuele, divenuto il bersaglio di un commando armato inviato dai Loielo. Fillippo rimase massacrato dalla pioggia di piombo, Tassone ne uscì illleso. «Una vicenda paradossale – dice il legale di fiducia, l’avvocato Giovanna Fronte - perché il caso non è stato archiviato contro ignoti, ma sono state archiviate posizioni soggettive ben definite».
L’inchiesta sul delitto, quando sembrava vicina una svolta, fu archiviata. In seguito intervennero i pentiti, prima Raffaele Moscato, più recentemente Nicola Figliuzzi, che hanno consentito di ridefinire quasi completamente il quadro della faida delle Preserre tra gli Emanuele ed i Loielo, come ha dimostrato l’indagine “Black Widows”, che ha fatto luce sul tentativo di omicidio di Alex Nesci, considerato dagli inquirenti figura chiave negli accadimenti di quest’area. Da qui l’appello al procuratore Nicola Gratteri: la morte di Filippo non resti impunita, si faccia presto. «Non ritengo di essere più in grado di poter continuare a distillare fiducia nella giustizia al signor Ceravolo – dice amareggiata l’avvocato - Credo che le istituzioni debbano fare qualcosa per sostenere la disperazione di questa famiglia».