Il 12 marzo 1977, l'operaio rosso con la passione per gli orologi veniva assassinato. Aveva denunciato con nomi e cognomi la protervia mafiosa e non pagava il pizzo
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Classe 1926, primo di dieci figli, Rocco Gatto lasciò presto la scuola per portare a casa il pane in tempo di guerra e di fame. Lavorò da giovanissimo nel mulino del padre Pasquale. Negli anni Settanta, Rocco così si divideva tra il mulino, di cui poi divenne proprietario nel 1964, il laboratorio in cui coltivava la sua passione per gli orologi – quegli ingranaggi sconosciuti ai più e invece a lui così chiari e addirittura appassionanti – e il partito comunista.
«Il mio sangue è rosso». Diceva sempre perché nel suo caso non era solo un fatto biologico. Nella sua storia di grande lavoratore, persona generosa e sorretta in ogni azione da saldi valori di onestà, giustizia e libertà,l’adesione al partito comunista coincideva con la sua militanza contro il malaffare e le angherie mafiose. Non c’era linea di demarcazione o di confine.
A viso aperto, e senza timore di vederlo scorrere quel sangue, «fino alla morte» aveva sfidato gli Ursini. Rocco era il figlio di una terra che negli anni Settanta diede prova di grande coraggio e resistenza. A Rocco Gatto, ucciso dalla 'ndrangheta il 12 marzo 1977 a Gioiosa Ionica nel reggino, è dedicata anche la puntata “Senza fare un passo indietro. Storia di Rocco Gatto” di LaC Dossier, andata in onda a nel 2017.
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