Smartphone alla mano, conti svuotati e vite che rotolano verso il niente. In Calabria, ci sono giovani che arrivano a spendere oltre 70 euro al giorno per grattare, scommettere, cliccare. Il gioco d’azzardo non è più un vizio da bar o da tabacchi, ma un fantasma che si infila nel letto, nelle scuole, nei telefoni. Un fantasma che ride mentre svuota i portafogli e spegne i sogni. È quanto è emerso nel corso del convegno organizzato da Fratelli d’Italia a Corigliano-Rossano: “Ludopatia: vinci solo quando smetti!”.

Un titolo che suona come un paradosso, ma che dice il vero. Perché la vera vittoria oggi è smettere. Fermarsi. Prima che sia troppo tardi. Il dato è allucinante: oltre 5 miliardi spesi in giochi nel solo 2023, secondo i numeri ufficiali del Monopolio di Stato. E parliamo della Calabria, ultima in Europa per reddito pro capite. Una regione che non riesce a mettere insieme i pezzi e che intanto si dissangua al ritmo delle giocate.

Al tavolo del confronto, nella sala parrocchiale San Giovanni XXIII di contrada Cardame, si sono alternate voci preoccupate ma determinate. Come quella del senatore Ernesto Rapani, che ha presentato una proposta di legge per inserire la ludopatia tra i Livelli essenziali di assistenza (Lea). «Non servono sanzioni – ha detto – serve prevenzione. Perché la ludopatia è una malattia, non una colpa». Sulla stessa linea anche Pietro Molinaro, presidente della Commissione Antindrangheta della Regione Calabria. Ha detto chiaro e tondo che il gioco d’azzardo è terreno fertile per la criminalità. Ma non solo: è anche terreno di usura, disperazione, alienazione. «Bruciamo 5 miliardi e mezzo in giochi. È assurdo». E ha puntato il dito contro l’inerzia dei Comuni, che per legge dovrebbero monitorare le distanze tra sale gioco e luoghi sensibili come scuole o centri per anziani. «Ma chi controlla davvero?».

Tra gli interventi incisivi, quello di Dora Mauro, coordinatrice territoriale Fdi, che ha lanciato l’allarme giovani. «Questa è una piaga che colpisce anche i minorenni. Ma se ne parla poco. E male. Il problema non è solo lo strumento – slot, scommesse, grattini – ma la mentalità. Il fatto che nessuno lo veda come un pericolo reale». Un pericolo silenzioso, come ha ricordato il medico Paolo Savoia, ex dirigente Serd di Cosenza. I segnali sono tanti: sbalzi d’umore, isolamento, bugie, soldi che spariscono. Ma troppo spesso vengono ignorati. «Serve qualcuno che ascolti. Senza giudicare», ha detto.

È la solitudine, forse, il vero carburante di tutto questo. Lo ha detto bene Salvatore Perfetto, giovane esponente di Gioventù Nazionale: «Con uno smartphone puoi giocarti tutto. Ma nessuno ti dice che stai cadendo. Perché il gioco è considerato normale». È proprio questa apparente normalità a essere la trappola. Poi, arriva lui: Fabio Carignola, giovane di Fdi. Parla senza filtri. Racconta che tanti coetanei scommettono più di 70 euro al giorno. E che nessuno lo dice, nessuno li ferma. «Il vero problema è che chi gioca non si rende conto. Non ammette di avere un problema. E finché non lo fa, non si salva». Il convegno si chiude, ma il messaggio resta. La ludopatia è una dipendenza vera, concreta, tossica. Non si combatte con la retorica, ma con interventi seri: scuole, famiglie, enti locali, associazioni. Tutti insieme, senza girarsi dall’altra parte.