«Pazzi, sono pazzi». Così Vincenzo Milazzo definiva gli uomini dei servizi segreti che gli fecero la proposta di partecipare all’attacco allo Stato. Sì, perché secondo il pentito Armando Palmeri, furono proprio esponenti dell’intelligence a rivolgersi al boss della città di Alcamo per chiedere di far parte della strategia stragista. È quanto ha riferito il collaboratore al processo ‘Ndrangheta stragista in corso a Reggio Calabria.

 

Tre furono gli incontri che vi furono tra Milazzo e questi due esponenti dei servizi, a cui partecipò anche un medico di Alcamo, tale Baldassarre Lauria, noto chirurgo. I primi due incontri durarono circa un’ora. Siamo nei primi giorni del 1992, in prossimità della fine del maxi processo a Cosa nostra. Luogo è una villa di un noto costruttore palermitano. La stessa dove poi Palmeri incontrò anche il boss Brusca. Per il terzo incontro, invece, bisognerà aspettare il periodo successivo alla strage di Capaci. «Milazzo – spiega Palmeri – era contrariato da questa proposta. Lui tendeva ad accettare perché sapeva che rifiutando, sarebbe stato il gran rifiuto. Mi disse “ma non lo capisci che se rifiutiamo siamo morti?”. Io mi mantenni calmo e gli dissi “e il problema dove sta?”». La risposta di Milazzo fu sempre un “nì”, un modo per non tirarsi fuori e rischiare di essere ucciso. L’idea era quella nota: «Fare la guerra allo Stato, destabilizzarlo».

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È nel secondo incontro, però, che Palmeri fa una cosa che nessuno si sarebbe aspettato: pedina l’auto con a bordo i due esponenti dei servizi segreti fino ad una rotonda della città di Palermo. Annota il numero di targa ed i successivi accertamenti fanno emergere come quell’auto sia riferibile ad una società di autonoleggio con sede all’aeroporto di Palermo. Con un particolare inquietante: in quei giorni, però, non risulta alcun noleggio della vettura. Gli esponenti dei servizi, quindi, si spostarono senza lasciare tracce.

 

E nel corso della deposizione emerge anche un altro particolare di rilievo: il medico Lauria, che presenziava ad ogni incontro, propose un attacco batteriologico. È questo il ricordo di Palmeri. L’idea era quella di avvelenare degli acquedotti. “Sono loro la vera mafia”, ripeteva quasi ossessivamente il boss Milazzo a Palmeri, il quale aveva ben compreso la difficoltà che vi sarebbe stata anche solo di rimanere vivi. Ed infatti dopo il terzo incontro, avvenuto nella villa del senatore Ludovico Corrao, giunse il momento dell’uccisione di Milazzo. Fatto preceduto dai “saluti” mandati da Antonino Gioè, pezzo da novanta di Cosa nostra. Un modo per annunciare l’omicidio del boss che non aveva prestato la sua opera per le stragi. I saluti arrivarono anche per Palmeri, ma – come racconta lo stesso pentito – lui riuscì a spuntarla alzando al massimo le misure di sicurezza. «Perché non sono morto? È da anni che mi aspetto questa domanda» spiega al procuratore Lombardo che lo interroga. «Con i dovuti scongiuri: un po’ per fortuna, un po’ per abilità, un po’ per sensitività. Oppure che qualcuno ha voluto che fosse così. Di attentati ne ho subiti, ma oggi sono qui».

Consolato Minniti

 

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