Confermata la sentenza di primo grado per Antonio e Maurizio Mauro nell'ambito del processo “Cafittera”. Dichiarato inammissibile l’appello del pm
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Si conclude dopo 14 anni l’odissea giudiziaria della famiglia Mauro nell’ambito del processo “Cafittera”. Ieri, i giudici della Corte d’Appello di Reggio Calabria hanno confermato la sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di primo grado nei confronti di Antonio e Maurizio Mauro, proprietari di quella che fu una delle aziende più importanti d’Italia nel settore della caffè.
L’inizio dell’odissea
Tutto ha inizio il 5 gennaio del 2005 quando la famiglia Mauro viene coinvolta nell’inchiesta “Cafittera”, coordinata dal sostituto procuratore Antonio De Bernardo. L’accusa è pesante: usura ed esercizio abusivo del credito. Antonio Mauro finisce addirittura in carcere per 39 giorni. Per Maurizio Mauro scattano gli arresti domiciliari. Il decreto che dispone il giudizio reca ben 60 capi d’imputazione per singoli episodi di usura contestati dalla Procura reggina. L’inchiesta viene eseguita dalla Guardia di Finanza che ricostruiscono una rete di prestiti che, a giudizio della Dda di Reggio Calabria, vengono erogati a tassi usurai, sia da parte degli imprenditori che dei loro più stretti collaboratori. L’usura sarebbe camuffata da incentivi all’attività imprenditoriale. In buona sostanza, la Caffè Mauro avrebbe prestato denaro ai commercianti i quali erano interessati a ristrutturare i propri locali. Quei soldi sarebbero stati restituiti attraverso l’acquisto di caffè. Un modus operandi che, a giudizio della Dda, si sarebbe rivelato penalmente rilevante, integrando i reati di usura ed esercizio abusivo del credito. Tesi da subito contrastata dalla famiglia Mauro.
I due gradi di giudizio
Ne scaturisce un processo lunghissimo, suddiviso in più tronconi ma che già dalle prime battute inizia a mostrare alcune crepe soprattutto nella parte riguardante l’usura. Per Antonio e Maurizio Mauro, difesi dagli avvocati Paolo Tommasini, Francesco Albanese, Nico D’Ascola e Fabio Schembri, il sospiro di sollievo arriva con la sentenza di primo grado: assoluzione per l’usura. In grado d’appello, ieri, i giudici hanno confermato quella decisione, disponendo il “non doversi procedere” per intervenuta prescrizione quanto al reato di esercizio abusivo del credito. Lo stesso pg Santo Melidona ha chiesto l’inammissibilità del ricorso del pubblico ministero. Si chiude così una partita giudiziaria durata 14 anni e conclusasi senza particolari strascichi sotto il profilo giudiziario, ma con pesanti conseguenze per l’attività imprenditoriale di famiglia.