I giudici della Sezione misure di prevenzione del Tribunale meneghino hanno disposto l'amministrazione giudiziaria: «Paradosso che il denaro dello Stato confluisse nelle casse dei clan». Si trattava infatti di fondi stanziati a seguito dell'emergenza Covid e della guerra in Ucraina
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La Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto l'amministrazione giudiziaria per una banca d'affari milanese, Banca Progetto, per aver concesso finanziamenti, come accertato dalle indagini del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf e del pm Paolo Storari, a società legate alla 'ndrangheta per oltre 10 milioni di euro.
Finanziamenti garantiti dal fondo per le piccole medie imprese, quindi «aiuti di Stato a sostegno dell'economia nell'emergenza del Covid» o «a seguito dell'aggressione della Russia contro l'Ucraina».
«Banca ha dato soldi dello Stato alla 'ndrangheta»
Il «modus operandi» di Banca Progetto spa «opaco e discutibile» ha di fatto «trasferito il rischio di insolvenza, in concreto verificatosi, sullo Stato», finanziando con fondi a garanzia statale società legate alla 'ndrangheta, e ha determinato «il paradosso che il denaro confluito nelle casse della consorteria criminale risulta di provenienza statale». Lo scrivono i giudici della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano nel provvedimento di amministrazione giudiziaria dell'istituto di credito d'affari milanese, parlando di «denaro», oltre 10 milioni di euro, «cannibalizzato» dai clan con «ingenti guadagni».
Come si legge nel provvedimento dei giudici Pendino-Cucciniello-Profeta, la Banca Progetto avrebbe tenuto una «condotta agevolatoria» del «sodalizio» con a capo Maurizio Ponzoni, legato a un clan della 'ndrangheta del Varesotto e arrestato nel marzo 2023, assieme al «sodale» Enrico Barone. Il clan, che operava a Busto Arsizio, avrebbe commesso una serie di reati tributari, fallimentari e di trasferimento fraudolento di valori, anche con l'aggravante mafiosa. E Ponzoni avrebbe ricevuto, attraverso società «a lui riconducibili», finanziamenti da Banca Progetto, tra il 2019 e il 2023, per circa 10 milioni di euro.
Finanziamenti, con fondi a garanzia statale, concessi con una «gestione superficiale e sprovveduta da parte dell'istituto di credito che avrebbe totalmente abdicato le basilari procedure relative all'istruttoria» su quei prestiti, «svalutando i rischi di credito» e senza «adeguata verifica della clientela». E «perseverando», inoltre, «nonostante gli accessi ispettivi e i rilievi mossi da Banca d'Italia» tra il 2021 e il 2022. La banca, in sostanza, scrivono i giudici che condividono le analisi del pm, ha seguito la logica della «massimizzazione del business», indifferente ai rilievi mossi da Bankitalia e Uif, come «dimostra l'erogazione dei finanziamenti anche in epoca successiva all'attività ispettiva» e tra questi il più consistente per 3,5 milioni di euro il 10 febbraio 2023.
Ponzoni: «Bastava che la banca controllasse il mio nome»
«Secondo me, se Banca Progetto prendeva il mio nome e cognome, faceva una ... diceva 'lasciamo stare tutto'». È una dichiarazione, emblematica secondo i giudici di Milano, resa in un'udienza lo scorso 14 marzo da Maurizio Ponzoni. La Sezione misure di prevenzione del Tribunale milanese spiega che per quei finanziamenti «il meccanismo di concessione» era sempre lo stesso.
Era Ponzoni a relazionarsi «direttamente» coi funzionari della banca. Lui, tra l'altro, formalmente «nulla» aveva a che fare con le società finanziate e, dunque, i funzionari avevano «ben chiaro che il vero referente-destinatario» dei prestiti era lui. E non hanno comunque «attivato alcun controllo sulla sua persona». Sarebbe bastata, come ha detto lo stesso Ponzoni, una «semplice consultazione» da «fonti aperte», anche perché i media «diffusamente» avevano parlato del suo arresto nel marzo 2023. Malgrado ciò, si legge ancora negli atti, Banca Progetto ha concesso prestiti a "Cfl Costruzioni srl" per 2,5 milioni di euro il 31 maggio 2023, a "Crocicchio srl" per quasi 2 milioni il 6 giugno, a Givi srl per mezzo milione il 13 ottobre dello stesso anno. Tutte società legate, stando alle indagini, all'arrestato.
I precedenti di Ponzoni
Come risulta dagli atti, Enrico Barone «sodale» di Ponzoni è stato condannato lo scorso giugno dal Tribunale di Busto Arsizio (Varese) a 11 anni di reclusione per bancarotta con l'aggravante mafiosa, mentre Ponzoni ha patteggiato nel dicembre 2023. E sono entrambi indagati in un procedimento per «trasferimento fraudolento di valori» con aggravante mafiosa. Sempre Ponzoni, lo scorso aprile, è stato sottoposto a misura di prevenzione per «pericolosità sociale» e gli sono stati sequestrati immobili, intestati a prestanome e alla sua compagna, per milioni di euro. Ponzoni, sempre stando agli atti, avrebbe agito per «agevolare» la cosca della 'ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo, tra Milano e Varese. Sarebbe stato in «rapporti d'affari», in particolare, con Vincenzo Rispoli, noto capo clan della locale del Varesotto e coinvolto nei più importanti processi contro la 'ndrangheta in Lombardia, e con Massimo Murano, anche lui condannato per associazione mafiosa.
Sarebbero almeno nove, come risulta dal provvedimento del Tribunale, le società riconducibili a Ponzoni e Barone che avrebbero avuto i prestiti dalla banca milanese.