VIDEO | Il libro di Maria Maiolo dato alle stampe otto anni dopo quel massacro impunito. Martino Ceravolo, il papà del diciannovenne ucciso per errore, confortato dalle parole del procuratore Falvo. Sempre viva la speranza che mandanti, esecutori materiali e basisti paghino il conto con la giustizia (ASCOLTA L'AUDIO)
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«È come scalare una montagna, continui a salire ma la salita non finisce mai». Martino Ceravolo scala con fatica il tempo, in attesa di giustizia, da quella maledetta notte dell’ottobre 2012, quando la vita di suo figlio Filippo fu spezzata dalla pioggia di fuoco che doveva colpire invece il conducente della Fiat Punto al quale il diciannovenne di Soriano chiese improvvidamente un passaggio.
Il vero bersaglio era Domenico Tassone, considerato dagli inquirenti come un referente del clan rimasto orfano del suo capo finito all’ergastolo: Bruno Emanuele.
Un agguato che rientrava nella faida mai sopita dal 2002, quando proprio Bruno Emanuele assieme a Tonino Forastefano, boss della Sibaritide poi divenuto collaboratore di giustizia, uccise i vecchi padroni delle Preserre vibonesi, ovvero i fratelli Vincenzo e Giuseppe Loielo. Gli eredi degli uccisi, allora bambini, divennero uomini, e dieci anni dopo iniziarono un nuovo regolamento di conti.
Ma Filippo Ceravolo, con quella guerra, nulla c’entrava. Aveva l’auto in panne, aveva incontrato la fidanzata, voleva solo tornare a casa in tempo per vedere col papà la partita della Juve.
Tassone uscì praticamente illeso, Ceravolo arrivò cadavere in ospedale. Martino Ceravolo, suo papà, incontra il procuratore capo di Vibo Valentia Camillo Falvo.
È la sera in cui a Mileto si ricorda un altro giovanissimo vittima della cultura mafiosa che permea il profondo Sud, Francesco Prestia Lamberti. Camillo Falvo è stato uno dei principali protagonisti della colossale indagine Rinascita Scott, una delle figure di punta del procuratore Nicola Gratteri.
Si è occupato dell’indagine sulla morte di Filippo e della faida delle Preserre. Su Filippo lo sforzo investigativo aveva consentito di acquisire buoni indizi su due basisti, non abbastanza, però, per inchiodare mandanti ed esecutori materiali. Il magistrato decise, saggiamente, di chiedere l’archiviazione del procedimento: i tempi e gli elementi per chiudere il cerchio e blindare un processo su tutti, tutti i colpevoli, non erano ancora maturi.
«Ma è un caso che non abbiamo mai trascurato né dimenticato», rassicura Camillo Falvo il papà di Filippo.
Alla Dda aveva lasciato un input importante per arrivare all’arresto, al processo e alla condanna dei colpevoli. Oggi è a capo della Procura di Vibo Valentia, ma un giorno, prima o poi, auspica, quel cerchio si chiuderà. Martino è confortato. «Un giorno mi dirà “Procuratore, quando mi diceva di avere fiducia aveva ragione”», sussurra il magistrato al papà di Filippo, che continua sì a scalare, ma con rinnovata fiducia.
«Io non voglio – ci racconta Martino – che l’attenzione sulla vicenda di mio figlio si abbassi».
E grazie alla lui, a papà Martino, nonostante siano trascorsi ben otto anni da quella notte devastante, di Filippo si parla ancora, si parla sempre. Filippo non si dimentica. E oggi la sua storia diventa anche un romanzo.
È il sequel dell’opera prima di Maria Maiolo, giovane scrittrice nata e cresciuta proprio nelle Preserre bagnate dal sangue, Il coraggio di cambiare, Libritalia.
S’intitola Una vita spezzata, alle stampe, proprio per Libritalia, in questi giorni. Sarà presentato il prossimo 26 ottobre a Soriano, quando si ricorderà il massacro consumato al calvario, lungo la strada che collega Vazzano a Soriano.
«Ho incontrato Martino e sua moglie Anna, mi hanno accolto nella loro famiglia. E questo incontro – spiega Maria Maiolo – è stato fondamentale per me, mi ha fatto scoprire sentimenti sconosciuti. Io ho promesso loro che Filippo avrebbe continuato a vivere anche in me. Ed è questo lo scopo del mio libro, far sì che Filippo non sia dimenticato perché se così fosse verrebbe ucciso un’altra volta».