Il mare sbatte forte sulla battigia di Steccato. Quasi come nella notte dello scorso anno, quando la Summer Love andò a schiantarsi su una secca a poche decine di metri dalla spiaggia inghiottendo 94 persone, morte quando ormai il peggio sembrava passato. E un anno dopo, la stessa spiaggia torna protagonista per una veglia silenziosa, fatta di preghiere appena accennate e dolore composto. In circolo attorno a una “barriera” di peluche – 34, lo stesso numero dei bambini che non sono sopravvissuti all’ennesimo viaggio della speranza sulla “rotta turca” – ci sono una parte dei sopravvissuti del naufragio e i loro parenti, tornati in Calabria da mezza Europa in ricordo della tragedia dello scorso anno. Un ritorno doloroso e carico di rimpianti per una tragedia che, dicono, certamente si sarebbe potuta evitare

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«Questi nostri fratelli morti su questa spiaggia – dice l’ex ambasciatore afgano al tempo dell’occupazione Nato, Jamshid Gul Aqa – non avevano scelta. Sono partiti perché costretti dalla guerra e dalle condizioni di vita in patria. Stanotte siamo qui per tenere alto il ricordo di queste persone e sono felice che in tanti siano venuti. Ricordare è importante e ringrazio il popolo calabrese che tanto ha fatto e continua a fare in aiuto ai migranti, ma ora resta un’altra battaglia da combattere che riguarda la creazione di corridoi umanitari per consentire il ricongiungimento dei familiari delle vittime e dei sopravvissuti».

È buio e carico di nubi il cielo sulla spiaggia di Steccato di Cutro, ma in tanti si sono voluti stringere comunque al ricordo delle vittime del naufragio. Come Mohamed Abdelfatah operatore di SOS Mediterranee e membro dell’equipaggio di una delle navi che solcano il mare nostrum per salvare vite umane: «Questa manifestazione è importante perché non si perda mai il ricordo di quanto è successo, ma dall’anno scorso poco o niente è cambiato. Solo negli ultimi due mesi abbiamo contato almeno 250 vittime dei viaggi della speranza. Almeno quelli di cui siamo a conoscenza. Ora il Governo italiano e quello europeo mantengano le promesse e facciano qualcosa per fermare questa strage continua».

Sulla spiaggia diventata cimitero si accendono le luci delle fiaccole. Incorniciano il gruppo di migranti e pescatori cutresi che getta in mare una corona di fiori. Tra loro c’è anche una donna afgana accompagnata dal figlio poco più che adolescente. Sono arrivati fin qui da Amburgo dove vivono ormai da anni. Sulla Summer Love c’erano sua madre, sua sorella e i due figli piccoli di quest’ultima. Nessuno di loro è riuscito a sopravvivere. Quando la corona di fiori tocca il mare, la donna non riesce a trattenersi scoppiando in un pianto disperato che gela il sangue.

Peluche bagnati, fiaccole, preghiere e silenzio. Sono tante le immagini forti di questa strana alba di un lunedì d’inverno iniziato con il ricordo della più grande tragedia migrante della storia della Calabria. «Ma il ricordo non basta – dice Kaled Zekriye, ex membro del governarato di Erat al tempo dell’occupazione Nato dell’Afganistan – le politiche migratorie devono cambiare. Mio cugino è morto su questa spiaggia, ma non avrebbe dovuto trovarsi su quella barca. Aveva collaborato con le forze di occupazione ed era in contatto con il governo italiano che gli aveva promesso una via sicura fino in Europa dopo il ritorno al potere dei talebani. Aspettava una chiamata dall’Italia che non è mai arrivata nonostante le sue sollecitazioni. Non doveva morire così».