L’eurodeputata calabrese del Movimento 5 stelle rimprovera al proprio leader politico di aver chiesto la consultazione dei militanti sulla piattaforma Rousseau
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«Caro Luigi, non è così che andava gestita la situazione». Di Maio per la prima volta si trova ad affrontare l'aperto dissenso dei maggiori esponenti del M5s.
In Calabria, fresca di riconferma a Strasburgo, è l’eurodeputata Laura Ferrara a criticare fortemente il “referendum” indetto da Di Maio sulla piattaforma Rousseau per chiedere ai militanti la sua conferma alla guida del movimento.
«Abbiamo preso una batosta alle europee - scrive Ferrara in un post su Facebook - ma forse non bisognava attendere il 26 maggio per capire che al nostro interno c’è qualcosa che non va. E la reazione, con l’annuncio di rimettere agli attivisti la decisione sulla tua conferma, francamente mi delude. Cos’è che siamo chiamati a votare? Luigi sì o Luigi no? In caso di vittoria del no, qual è l’alternativa? Si lascia un movimento - che è al governo - senza una guida, senza organizzazione, senza una linea politica? In caso di vittoria del sì, credi di uscirne forte e si va avanti come se nulla fosse successo?».
Domande che mettono a nudo questioni cruciali che sinora si è cercato di eludere.
«Non mi sento parte dello schieramento di chi oggi chiede la tua testa - continua l’eurodeputata -, né però rientro nella tifoseria di chi ti sostiene senza se e senza ma. Faccio parte del Movimento da sempre e se oggi le mie parole possono risultare dure è perché ci tengo. Credo in un progetto che al di là dei punti programmatici per il Governo del Paese, nasce come nuovo modo di concepire la politica, un progetto in cui gli eletti si mettono al servizio dei cittadini. E questo equivale ad ascoltarli, informarli, coinvolgerli; significa studiare, impegnarsi, darsi un’organizzazione funzionale al raggiungimento di risultati».
Il ragionamento di Ferrara, dunque, sembra spingersi abbondamene oltre il fatto contingente, cioè la “bastosta” alle Europee, ma investe l’organizzazione stessa dei Cinquestelle e l’incapacità di articolarsi sui territori, anche per consentire ad una nuova classe dirigente di emergere dopo un percorso di formazione politica.
«Nel MoVimento - continua - nel tempo l’ascolto ha funzionato a intermittenza, il confronto tra portavoce sempre più difficile, il coordinamento sui territori è stato rimandato a più riprese. Tutto questo ci ha penalizzato in una fase in cui - con la partenza del Governo - ci siamo trovati in parte impreparati, finendo col farci trascinare da chi ci batte per esperienza governativa, amministrativa e organizzativa».
L’analisi della deputata europea continua, battendo sul tasto più dolente, quello della coerenza con principi e promesse.
«Orientati forse dai sondaggi o peggio ancora dai likes sui social - afferma -, abbiamo assunto posizioni ondivaghe, arrivando a mettere a dura prova la nostra coerenza: tra i più eclatanti, il voto su Salvini per il caso Diciotti, la posizione sul Decreto sicurezza».
Insomma, per Ferrara «non è su una persona che dobbiamo essere chiamati a decidere, ma su un metodo». «Riflettiamo sul metodo - ribadisce -, su come vuole organizzarsi il MoVimento per essere efficiente, su come valorizzare le competenze, su come confrontarci costantemente per stabilire la linea politica sui vari temi, su come rendere la comunicazione funzionale ai contenuti».
Infine, traccia il profilo del leader ideale: «A mio parere, non è chi vince contro il pollice verso, ma chi sa interpretare una situazione, sa ascoltare, si assume le proprie responsabilità e sa essere una guida».