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Ci sono anche il presidente della provincia di Reggio Giuseppe Raffa, l'ex magistrato Giuseppe Tuccio e l'ex vicepresidente della Reggina Calcio Pino Benedetto tra gli indagati dell'operazione Fata Morgana.
La Dda di Reggio questa mattina ha emesso un provvedimento di fermo ai danni di sette persone tra cui Paolo Romeo, già condannato in via definitiva a cinque anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Il suo nome entra nelle principali inchieste di ndrangheta da almeno 20 anni, almeno a partire dalla madre di tutte le inchieste sulle cosche reggine e sulla pax criminale seguita alle guerre di mafia: Olimpia.
L'avvocato avrebbe però continuato, nonostante i trascorsi giudiziari, a godere del favore di una buona fetta della politica reggina e nazionale. Notizie, indizi che trapelano dalla conferenza stampa di stamattina al comando provinciale della Guardia di Finanza. Non possono dir troppo, gli inquirenti: il fermo deve essere ancora convalidato.
Dalle parole del procuratore Federico Cafiero De Raho, però, si intuisce che la portata dell'operazione Fata Morgana non può essere di poco conto: tra le ipotesi che la procura sta verificando in queste ore con numerose perquisizioni e riscontri, c'è anche quella dell'associazione segreta. In termini non giuridici, si può parlare di massoneria. Un sistema di potere che, come lasciano trapelare gli inquirenti in conferenza stampa, accredita Paolo Romeo come unico referente credibile del mondo imprenditoriale reggino, nonostante una condanna per concorso esterno passata in giudicato.
Un mondo sotterraneo di cui la politica si sarebbe servita per costruire consenso, facilitandone le avventure imprenditoriali sempre condotte sotto il patrocinio della ndrangheta. Almeno questa è l'accusa che riguarda la riapertura del centro commerciale "La Perla dello Stretto": "È ora che i reggini inizino a pensare al futuro di questa città a prescindere dai capitali e dalle linee direttive della 'ndrangheta" ha tuonato Cafiero De Raho in conferenza stampa. Il settore pubblico e privato si sarebbero inchinati al sistema guidato dall'ex deputato, riconosciuto come colletto bianco della famiglia De Stefano. Una circostanza che avrebbe aperto al presunto sodalizio le porte del rilancio del centro commerciale di Villa San Giovanni.
Il consorzio dei commercianti, secondo l'accusa, sarebbe stato ben presto dominato e indirizzato dagli indagati che avrebbero costretto alcuni dei negozianti, con la forza d'intimidazione dei propri nomi, ad accettare condizioni sfavorevoli. Da qui l'accusa di estorsione aggravata che unisce, oltre a Romeo, gli imprenditori Giuseppe Chirico e Antonino Idone.
Il ruolo della politica, invece, sarebbe più sottile: le amministrazioni avrebbero giocato un ruolo da facilitatore, elargendo autorizzazioni finanziamenti. Una circostanza che sarà più chiara al momento della possibile convalida del fermo e che getterà luce sui dettagli di un'operazione che, come hanno ricordato gli inquirenti in conferenza stampa, è stata condotta in anticipo per evitare la fuga di alcuni dei fermati, già messi a conoscenza degli accertamenti della magistratura da non meglio identificate "gole profonde" tra cui un maresciallo dei Carabinieri.
"È triste pensare che tutte le più significative iniziative economiche della città finiscano in mano alla ndrangheta" ha dichiarato il procuratore Federico Cafiero De Raho in conferenza stampa. Reggio, insomma, sarebbe de facto governata da un sistema sotterraneo che coinvolge ndrangheta, imprenditoria, politica e colletti bianchi. Uniti e compatti nel nome del profitto.