La Procura di Reggio Calabria chiude le indagini: nel mirino presunte anomalie nella somministrazione dei medicinali, dati falsi sui pazienti e l’indicazione di dosaggi superiori a quelli realmente forniti
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Notificata la chiusura delle indagini preliminari per il procedimento che vede coinvolti il primario del reparto di Oncologia del Gom, Pierpaolo Correale, e il suo vice Rocco Giannicola. I due medici sono indagati perché «in concorso tra loro con più azioni del medesimo disegno criminoso somministravano ai pazienti presi in carico medicinali imperfetti, in quanto somministrati per indicazioni terapeutiche non previste dall’autorizzazione immissione in commercio degli stessi, con posologia diversa da quanto prevista dall’Aic (Autorizzazione all’immissione in commercio, ndr) in assenza dei presupposti fattuali e normativi tali da giustificare un ricorso a tali farmaci in regime di off-label (cioè utilizzati per indicazioni non comprese nella scheda tecnica, ndr) o per uso compassionevole e in assenza di protocolli clinici sperimentali autorizzati».
Inoltre, i medici del reparto di oncologia «in violazione normativa attestavano falsamente, in sede di inserimento della prescrizione e della successiva somministrazione del farmaco oncologico innovativo indicando dosaggi superiori a quelli realmente somministrati nonché attestando patologie differenti da quelle reali».
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Per il pubblico ministero Flavia Maria Luisa Modica, sostituta procuratrice del Tribunale di Reggio Calabria, il fatto sarebbe aggravato, per tutti i concorrenti, dall'esser stato commesso «su atti - le schede informatiche di prescrizione e somministrazione aventi natura fidefacente, in quanto finalizzati ad attestare la sussistenza delle condizioni normativamente previste per la rimborsabilità del costo di acquisto del farmaco tramite risorse pubbliche a ciò destinate. Fatto aggravato, per Correale in qualità di ideatore e concorrente morale delle condotte materialmente eseguite da Giannicola».
Correale e Giannicola dovranno, inoltre, rispondere dell’accusa di concorso in abuso d’ufficio perché «con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso», avrebbero violato specifiche regole di condotta previste in materia di farmaci che stabiliscono che «i registri dei farmaci sono parte integrante del sistema informativo del Servizio sanitario nazionale».
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Regole dalle quali «deriva l'obbligo per il medico che prescrive un farmaco innovativo, ai fini della sua rimborsabilità, di inserire nella piattaforma online dei Registri Aifa schede di prescrizione nominative per ciascun paziente, comprensive delle informazioni richieste ai fini del rimborso». Normative che sanciscono «l'obbligo per il medico di attenersi, in sede di prescrizione di un farmaco alle indicazioni terapeutiche, alle vie e modalità di somministrazione previste dall'Autorizzazione all'Immissione in Commercio (Aic), prevedendo, solamente in singoli casi, la possibilità per il medico di impiegare un medicinale per un'indicazione o una via o modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata, previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, qualora il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione e purché tale impiego sia conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale».
A fronte di questi obblighi, per il procuratore, i due medici avrebbero inserito «dati falsi circa l'identità dei pazienti per i quali il farmaco era prescritto e il dosaggio ad essi destinato (inserendo dosaggi superiori rispetto a quelli somministrati), e poi somministravano il farmaco in eccedenza così ottenuto a carico del Sistema sanitario nazionale».
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Dalle carte si evince che le cure sarebbero state somministrate «su pazienti affetti da patologie non rientranti tra le indicazioni terapeutiche del farmaco» e «a pazienti inseriti in Aifa con indicazioni di patologie diverse da quelle dalle quali gli stessi risultavano affetti».
Questo, secondo l’accusa, sarebbe stato finalizzato a procurarsi «intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale consistito nell'ottenere, con oneri a carico del Ssn numerose confezioni del farmaco Opdivo per la successiva somministrazione anche a pazienti diversi da quelli inseriti a Registro Aifa, nonché a pazienti privi dei requisiti di eleggibilità del farmaco, così ampliando la platea dei soggetti assuntori dello stesso che venivano schedati in appositi database nella disponibilità di Correale e Giannicola al fine di valutare gli effetti del farmaco e i risultati ottenuti». Quegli stessi risultati sarebbero stati «poi divulgati tramite pubblicazioni scientifiche che accrescevano la loro reputazione professionale in materia di immunoterapia e la loro conseguente capacità attrattiva nei confronti delle società farmaceutiche, delle riviste scientifiche e degli enti organizzatori di eventi convegnistici, con conseguenti vantaggi economici».