«La circostanza che esponenti del clan confidassero nel contributo di Domenico Tallini non implica di per sé che costui avesse piena contezza di rapportarsi al clan, per il tramite di Domenico Scozzafava». In sintesi e con questa motivazione la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inamissibile il ricorso proposto dalla Procura di Catanzaro volto ad annullare l'ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva disposto la revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti dell'ex presidente del Consiglio Regionale, Domenico Tallini, difeso dagli avvocati Enzo Ioppoli e Valerio Zimatore, coinvolto nell'inchiesta Farmabusiness ed accusato di concorso esterno e scambio elettorale politico-mafioso in relazione alle consultazioni regionali del 2014.

L'accusa

L'accusa ruotava attorno ai rapporti intrattenuti da Domenico Tallini e Domenico Scozzafava, per la costituzione del consorzio Farma Italia e dall'appoggio elettorale che quest'ultimo avrebbe garantito al politico dietro il quale si sarebbero celati gli interessi della cosca Grande Aracri di Isola Capo Rizzuto. 

Nessun ingerenza nel rilascio dell'autorizzazione

Secondo i giudici della Suprema Corte «il Tribunale ha coerentemente e non illogicamente posto in luce che il compiacimento espresso da Domenico Tallini («tutti stiamo lavorando bene») implicava un impegno per il progetto, ma non valeva ad attestarne lo sfondo criminale; che il propriziato incontro con la dirigente Rizzo non comprovava un'effettiva interferenza dell'assessore nel rilascio dell'autorizzazione per l'avvio dell'attività imprenditoriale; che non risultava un'ingerenza nella nomina di Giacomino Brancati, avvenuta sulla base di una procedura regolare e che non erano emersi interventi di Tallini in sede di rilascio dell'autorizzazione».

Esigenze cautelari

Crolla insomma l'impianto accusatorio che aveva condotto Domenico Tallini agli arresti domiciliari e a dimettersi dalla carica all'epoca ricoperta di presidente del Consiglio regionale. «Nel caso di specie, pur avendo escluso la gravità indiziaria, il Tribunale ha anche esaminato il tema delle esigenze cautelari, rilevando che la vicenda alla base della misura cautelare applicata al Tallini era assai risalente (anni 2013/2016) e che non erano emersi dopo la cessazione dell'attività del Consorzio e della Farmaeko fatti implicanti forme di coinvolgimento di Domenico Tallini in affari riconducibili agli interessi del clan Grande Aracri, non potendosi in senso contrario valorizzare una continuità di rapporti tra il Tallini e lo Scozzafava in relazione a successive vicende elettorali».

La cautela di Tallini

Non regge poi la tesi costruita sulla cautela adottata da Domenico Tallini nell'uso del telefonino: «Già il Tribunale aveva ampiamente dato conto dell'ambigua valenza della conversazione dell'11 settembre 2013 tra Scozzafava e Galli in merito all'uso del telefono, al di là della individuabilità del Mimmo nel Tallini, e dell'indebita valorizzzione della pretesa volontà del Tallini di non salire sulla vettura di Scozzafava. Altrettanto deve dirsi per la vicenda relativa al viaggio a Crotone, avendo il Tribunale segnalato la mancanza di elementi idonei a suffragare la presenza di Tallini ad un incontro di De Sole con un commercialista a Crotone». 

Tallini non sapeva

In conclusione, secondo la Corte «non insinua una frattura logica nel ragionamento del Tribunale il rilievo secondo cui il ruolo dello Scozzafava quale semplice «cavallo di Troia», capace di orientare l'azione del Tallini a vantaggio degli interessi del clan, nelle vicende del Consorzo Farnnaitalia e della società Farnnaeko, senza che comparissero figure direttamente riconducibili alla consorteria, avrebbe dovuto ritenersi smentito dall'affidamento riposto dal clan sul contributo del Tallini, affidamento espresso nel corso della riunione del 7 giugno 2014 presso la tavernetta dei Grande Aracri. In realtà la circostanza che esponenti del clan confidassero nel contributo del Tallini non implica di per sé che costui avesse piena contezza di rapportarsi al clan, per il tramite dello Scozzafava e di altri soggetti come Paolo De Sole».