VIDEO | La barbarie nella città tedesca mostra al mondo l'atroce brutalità della 'ndrangheta, ma è solo l'ultimo episodio di una guerra che i clan Pelle-Vottari e Nirta-Strangio stavano combattendo da due decenni (ASCOLTA L'AUDIO)
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«Moriu fratima, moriu niputima, moriu fratita. Moriru tutti». Sono le prime ore del mattino del 15 agosto 2007, nella telefonata intercettata dalla distrettuale antimafia di Reggio, un uomo chiede di parlare con “la mamma”, alias dietro cui si nasconde il boss dei “Vanchelli” Antonio Pelle: a Duisburg, in Germania, a duemila chilometri da San Luca, è da poco andato in scena l’ultimo atto di una delle faide più feroci della storia della ‘ndrangheta.
A terra, davanti al ristorante italiano “da Bruno”, restano le vittime Marco Marmo, Francesco Giorgi, Sebastiano Strangio, Tommaso Venturi e i fratelli Francesco e Marco Pergola, morti sotto una pioggia di 57 colpi esplosi da due Beretta automatiche in grado di sparare fino a tre proiettili per volta. Una strage così eclatante da costringere anche le sonnolente autorità tedesche a prendere atto della pervasività della ‘ndrangheta nel territorio e nell’economia della Germania.
Una mattanza che segna la fine di una guerra iniziata quasi 20 anni prima con la strage di Carnevale. Era stato il collaboratore di giustizia Rocco Mammoliti, durante una drammatica udienza del processo Fehida, a raccontare l’episodio che diede il via alla faida tra i Pelle-Vottari da una parte e i Nirta-Strangio dall’altra: «I miei cugini mi raccontarono di come loro, insieme a Gianluca Nirta e ad uno degli Strangio giocassero a schizzarsi con la schiuma che si usa per gli scherzi di carnevale, e mi raccontarono della reazione di Antonio Vottari, a cui avevano sporcato l’auto, che non si fece nessun problema a pestare malamente un ragazzino del gruppo rimasto solo, e colpevole di avere insozzato la sua macchina».
Al pestaggio di Vottari, gli avversari dell’altra parte risposero immediatamente. «Scoppiò una rissa, si sono picchiati per un po’ davanti al circolo dove era iniziato tutto qualche ora prima – aveva raccontato Mammoliti in aula – poi quando i ragazzi stavano per rientrare in auto, Vottari sparò, forse per paura visto che era a conoscenza del fatto che gli Strangio e i Nirta fossero tutti ben avviati nel mondo della criminalità organizzata». E così, uno scherzo a base di uova e schiuma da barba, si era trasformato nel primo mattone di una guerra interminabile. Sul campo, quel giorno di Carnevale del ’91, restano i cadaveri di Francesco Strangio e Domenico Nirta.
Antonio Vottari, autore del doppio omicidio, sarà trucidato poco più di un anno più tardi da un commando di fuoco di quattro persone che lasciò il suo cadavere ai margini della 106, nel comune di Bovalino. «I miei cugini mi riferirono che per le loro famiglie il conto era da considerarsi pari, tanto che Antonio Strangio – lo stesso che aveva fornito le armi al gruppo di fuoco – andò dai Vottari a trattare la pace, ma fu mandato via in malo modo dal fratello della vittima che disse che loro non volevano nessuna pace e che Antonio Vottari valeva da solo quanto cinque dei loro. I Vottari – raccontò ancora il collaboratore di giustizia – andarono a chiedere a mio padre, allora latitante in montagna, di portare cinque esponenti delle famiglie dei Nirta-Strangio in una cittadina del Nord, dove sarebbero stati giustiziati. Solo allora sarebbe stata pace».
Passano pochi mesi e, il primo maggio del 1993, il sangue scorre di nuovo tra i vicoli di San Luca. Nel pomeriggio del giorno dei lavoratori vengono uccisi Giuseppe Vottari e Pietro Pugliesi, e nel giro di un paio d’ore, come rappresaglia, vengono trucidati Antonio Stangio e Giuseppe Pilia. Sarà solo dopo questa ennesima mattanza che, nell’estate del ’93, si raggiungerà una tregua sancita da un incontro a San Luca in cui, raccontò in aula l’ispettore De Luca all’epoca dei fatti in forza al commissariato di Bovalino «i rappresentanti dei De Stefano, degli Aquino, dei Cordì, dei Morabito, degli Zavettieri, dei Commisso e dei Barbaro, si comportarono in quell’occasione come la “Commissione provinciale” usata dalle famiglie mafiose siciliane».
La tregua imposta dal ghota del crimine organizzato reggino regge per un decennio poi, nel 2005, vengono ammazzati Salvatore Favasuli (nel giorno dell’Epifania) e Domenico Giorgi, alla vigilia di Ognisanti. È il segnale della ripresa della guerra tra i due clan, da qui in avanti sarà un escalation. Il 31 luglio del 2006, Francesco Pelle, aka Ciccio Pakistan, viene colpito da quattro colpi nella sua casa di Africo nel giorno della nascita del figlio rimanendo, da quel momento, su una sedia a rotelle: «Mi hanno fatto il regalo per il bambino», dirà, intercettato, il boss nella sua stanza d’ospedale.
Sarà proprio Ciccio Pakistan – già protagonista della rappresaglia armata durante la strage del primo maggio – a organizzare la vendetta. Il giorno di Natale del 2006, un commando di due uomini armati di kalashnikov spara all’impazzata davanti alla casa dei Nirta. Obbiettivo dell’agguato è Giovanni Luca Nirta – già coinvolto nella rissa della strage di Carnevale e delfino del boss Giuseppe Nirta “u versu” – ma sul selciato resta il cadavere della sua giovane moglie, Maria Strangio. Tra i feriti, anche un bambino di cinque anni, nipote del boss. E in questo vortice di violenza che chiama altra violenza, sarà Giovanni Strangio, fratello di Maria, a portare la faida fino nel cuore d’Europa, ultimo atto di una guerra iniziata per uno scherzo di carnevale.
Duisburg: ricostruzione di una strage
La faida di San Luca è stata ripercorsa nella decima puntata di Mammasantissima - Processo alla 'ndrangheta andata in onda su LaC Tv martedì 21 marzo. È possibile rivederla su LaC Play.