La sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura dovrà ritrattare il processo a carico dell'ex procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla. Lo hanno deciso le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, nella sentenza emessa lo scorso luglio, nella quale si dava atto delle motivazioni contraddittorie esposte dai giudici di Palazzo dei Marescialli rispetto a un'incolpazione contestata al magistrato di Cosenza.

C'è anche da dire che i giudici di legittimità hanno accolto anche uno dei motivi di ricorso presentato dalla procura generale della Cassazione. La vicenda è quella della presunta rivelazione del segreto d'ufficio che Facciolla avrebbe fatto a Nicola Inforzato circa l'organizzazione dell'interrogatorio del collaboratore di giustizia Franco Bruzzese, poi sentito nel processo "Tela del Ragno" a Cosenza.

Le indagini svolte a Castrovillari

La difesa del magistrato Eugenio Facciolla, sanzionato con la censura nel processo di primo grado, sosteneva che la sezione disciplinare aveva sbagliato a ritenere che Facciolla indusse il pubblico ministero Luca Primicerio a indagare su altre persone già oggetto di procedimenti penali presso la procura di Castrovillari. Il legale riteneva contraddittoria la sentenza anche «nella parte in cui da un lato afferma che Eugenio Facciolla nel ricercare eventuali contratti tra criminali e i suoi colleghi, "si avvalse di Luca Primicerio" dall'altro afferma che lo "indusse" a compiere atti d'indagine».

Per la difesa del magistrato cosentino «il concetto di "avvalimento" sarebbe incompatibile con quello di "induzione"». A ciò si aggiunge, secondo l'avvocato Iai, che «la sentenza ha trascurato di prendere in esame varie fonti di prova», dalle deposizioni dei magistrati di Castrovillari agli altri testimoni sfilati dinanzi all'ex vicepresidente del Csm David Ermini, nonché alcune intercettazioni dalle quali emergeva come Facciolla avesse avuto un rapporto di leale collaborazione con i colleghi del suo ufficio. Questo aspetto però è stato ritenuto infondato dalla Cassazione.

Le contraddizioni rilevate dalla difesa di Facciolla

Ciò che è stato accolto riguarda la parte in cui l'avvocato Iai contesta che «la condotta di Eugenio Facciolla fu disciplinarmente rilevante, perché espose volontariamente Luca Primicerio al rischio di essere sottoposto a procedimento disciplinare». E ancora: «La sentenza è contraddittoria perché da un lato esclude che Eugenio Facciolla sia stato scorretto nei confronti dei colleghi che avrebbe desiderato "incastrare", nello stesso tempo però ritiene che Eugenio Facciolla sia stato scorretto nei confronti del collega di cui si avvalse come "autore mediato" per perseguire quel suo inconfessato scopo».

Delle due l'una

Sul punto la Cassazione scrive che «la sentenza impugnata ha affermato che Eugenio Facciolla fu scorretto nei confronti di Luca Primicerio per avergli suggerito il compimento di accertamenti che avrebbero potuto esporlo al rischio di procedimenti disciplinari» ma «poco prima tuttavia la medesima sentenza afferma che i suddetti accertamenti erano solo "approfondimenti istruttori" su atti già acquisiti, legittimamente compiuti, e non violativi delle regole di competenza di cui all'art. 11 c. p. p.».

Per questo «il dire da un lato che un atto è legittimo e legittimamente eseguito e dall'altro aggiungere che chi compie quell'atto è esposto al rischio di incolpazione disciplinare è affermazione oggettivamente contraddittoria. Non può esservi infatti responsabilità se non vi è colpa, e colpa non può esservi nel compiere un atto consentito».

Il "caso Inforzato"

La procura generale, nella persona del sostituto procuratore generale Giovanni Di Leo, oggi procuratore capo di Agrigento, ha contestato la sentenza della Sezione disciplinare del Csm nella parte in cui ha ritenuto di "scarsa rilevanza" l'illecito disciplinare consistito nella divulgazione di notizie riservate. Al centro del processo disciplinare c'era stato il rapporto di conoscenza tra Facciolla e Inforzato, il quale non è stato sentito nel primo giudizio.

Secondo la Cassazione, «la sentenza impugnata ha ritenuto che le confidenze compiute da Eugenio Facciolla non potessero nuocere allo svolgimento delle indagini o all'incolumità del collaboratore di giustizia, perché erano così generiche da non consentire l'identificazione del collaboratore, né il luogo né il tempo in cui sarebbe stato interrogato». Per la Suprema Corte sono affermazioni oggettivamente contrastanti «col contenuto della conversazione intercettata e posta a fondamento dell'incolpazione, ed il cui contenuto non è mai stato in discussione tra le parti».

I giudici di legittimità sostengono che la sezione disciplinare del Csm non ha spiegato «chi fosse l'interlocutore di Eugenio Facciolla; donde risultasse che avesse una "legittimazione apparente" a ricevere informazioni riservate; per quali ragioni tale "apparente legittimazione" fosse tale da indurre in errore un procuratore della Repubblica; infine per quale ragione in iure, ed a quale titolo, persone non appartenenti all'ordine giudiziario o alla polizia giudiziaria possano ritenersi "legittimate" a ricevere informazioni su indagini in corso».