Il Comune di Rende, nelle persone del sindaco Marcello Manna e del dirigente Francesco Azzato, erano coscienti della gravità della situazione. Coscienti del «dovere di agire». Eppure il Comune di Rende, il loro Comune, è rimasto «inerte». È uno dei passaggi cruciali della dichiarazione d’appello che il procuratore aggiunto di Cosenza Marisa Manzini ha depositato contro il primo cittadino di Rende ed il suo dirigente a beneficio dei quali – nel processo sui veleni dell’ex Legnochimica – il gip di Cosenza aveva pronunciato sentenza di non luogo a procedere riguardo l’omessa bonifica del sito industriale abbandonato.

 

Il procuratore Manzini ha inoltre appellato la sentenza di assoluzione pronunciata per l’ex assessore all’Ambiente di Rende Francesco D’Ippolito, che sin dall’insediamento aveva tenuto i contatti con il liquidatore di Legnochimica, Pasquale Bilotta, il solo finito sotto processo, con l’accusa di disastro ambientale.

 

Proscioglimenti e assoluzioni, sulla scorta di motivi illogici e contradditori, secondo il procuratore Manzini, nel cui appello contesta in primo luogo la conclusione del gip di Cosenza secondo cui il disastro ambientale, nei laghi artificiali, nel terreno sottostante e nelle falde acquifere, con concentrazioni fuori legge di metalli pesanti, non sarebbe provata. Di radicale diverso avviso – negli appelli contro il sindaco Manna, Azzato e D’Ippolito – il magistrato della Procura bruzia ma anche comitati e cittadini che da anni contestano non solo la condizione di avvelenamento di quell’area ma anche l’amministrazione Manna che avrebbe brillato esclusivamente per la propria inerzia. Un’area, l’ex Legnochimica, che, secondo i cittadini, sarebbe stata causa di un incremento esponenziale di tumori e morti e di roghi spontanei, tanto improvvisi quanto tossici. Adesso il caso passa alla Corte d’Appello di Catanzaro.